«Tempesta Vaia, altri alberi cadranno: in futuro  attenti alle frane» 

Le conseguenze del maltempo. La docente di Ingegneria, esperta di ambiente e territorio parla del futuro dei boschi trentini: «Contro il bostrico dobbiamo solo sperare nel freddo»


Luca Petermaier


Trento. Chi pensava che la (drammatica) fotografia di Vaia fosse racchiusa tutta in quei cumuli di abeti tirati giù come stuzzichini non aveva calcolato quelli che gli esperti definiscono «danni secondari». Sul Trentino di ieri abbiamo raccontato del rischio (anzi, della certezza) che le infestazioni da bostrico provochino la morte di almeno un altro milione (fino a un milione e mezzo) di alberi sani il prossimo anno. «Eh, purtroppo è proprio così - sospira Maria Giulia Cantiani, ecologa, docente a Ingegneria a Trento ed esperta di ecosistemi forestali - ma questo non è tutto. L’assenza di alberi in zone e pendii a rischio idrogeologico indebolirà il potere di protezione del bosco rispetto all’ambiente, facendo aumentare allagamenti, frane e valanghe. La caduta degli alberi è solo l’immagine di copertina del “libro della tempesta”».

Professoressa, partiamo dal bostrico: davvero non c’è speranza contro il temibile insetto?

Temo di no. Purtroppo gli studi ci dicono questo. L’unica speranza è il meteo: con il freddo avremo meno danni.

La Provincia ha sistemato 200 trappole: bastano?

Le trappole servono soprattutto per il monitoraggio più che per abbattere gli esemplari.

Per il futuro è più opportuno puntare su una ricostituzione del bosco “artificiale”, piantando alberi dalle serre o lasciare che il bosco di ricrei da sé?

Ci sono zone dove i boschi hanno una funzione di protezione diretta contro la caduta dei massi. In questi casi è più opportuno provvedere subito al rimboschimento, anche artificiale. Negli altri casi è meglio assecondare ciò che la natura fa da sola. I nuovi alberi ci metteranno forse più tempo a crescere ma saranno di sicuro più forti. Ma poi ogni zona è diversa dall’altra.

Lei che differenze ha notato?

Con i miei studenti sono stata prima in Primiero e poi a Paneveggio. Nel primo caso il clima è più favorevole per la formazione del bosco misto, con maggiori varietà e la presenza anche del faggio, un albero elastico e resistente che infatti non è stato abbattuto. Qui il bosco si riprenderà spontaneamente in tempi ragionevoli. A Paneveggio, zona con clima più freddo, il bosco è popolato prevalentemente da abeti rossi, una specie molto interessante dal punto di vista produttivo, molto meno sotto quello della stabilità.

A Paneveggio lei come interverrebbe?

Diciamo che eviterei ripopolamenti di abete rosso troppo uniformi ed estesi. Ma ora il clima sta cambiando e si sta riscaldando. Quindi non escludo che tra qualche anno nelle zone dove c’erano solo abeti non possano crescere specie diverse.

Il cittadino comune pensava di aver visto tutto: gli schianti, le montagne cambiate. E invece ora si scopre che le ripercussioni di Vaia sul territorio sono appena cominciate. Quanto tempo ci vorrà per avere piena contezza dei danni?

Bella domanda... Molti anni. E quello del bosco è un contesto in continua evoluzione. I danni collaterali credo saranno più gravi di quanto oggi siamo in grado di capire e spero che questo non incida sulla vita dell’uomo in montagna: dobbiamo contrastare il rischio di un futuro spopolamento di queste zone.

Lei è favorevole alla conversione di zone boschive a zone a pascolo?

Creare un ettaro di bosco destinato a pascolo ha costi altissimi (si parla di circa 20 mila euro, ndr). Proprio per questo è importante non farsi prendere la mano e scegliere quali aree dissodare e convertire in base alle effettive esigenze di quel territorio. Perché poi, quando hai creato un pascolo, lo devi curare altrimenti il bosco se lo riprende.

Il Trentino si è mosso bene nell’emergenza? L’Alto Adige ha finora liberato più materiale dai boschi...

Io penso di sì. Ma si tratta di realtà socio economiche diverse. In Alto Adige la proprietà dei boschi è per lo più privata e questo accelera le procedure. In Veneto, dove manca lo stesso presidio del territorio che abbiamo in Trentino, la situazione è oggi molto più critica.

Che lezione ci ha dato Vaia?

Che dobbiamo rimboccarci le maniche, creare aree di studio permanenti e sapere che il clima sta cambiando e che fenomeni intensi sono sempre più frequenti. Monitoraggio e pianificazione diventano essenziali.













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