Dopo Vaia montagne fragili «Rischi da piogge frequenti» 

Il geologo. Aronne Armanini: «Il bosco ha un ruolo prezioso, ora il territorio è più vulnerabile» Oggi la Commissione provinciale in tour nei luoghi colpiti in ottobre dalla terribile tempesta


Danilo Fenner


Trento. Se uno come Aronne Armanini, professore emerito dell’Università di Trento, autentico “luminare” in Italia nel campo della geologia, si dice “preoccupato” c’è da drizzare le antenne. Resta da capire esattamente per cosa. Il tema che gli poniamo riguarda il rischio di dissesto idrogeologico dopo Vaia: ma Armanini, a sorpresa, nega che vi possa essere un rapporto causa-effetto. Lo preoccupa un’altra cosa: le piogge “normali”, o meglio la loro ricorrenza, la loro intensità, che tutti gli esperti del settore dicono in aumento esponenziale nei prossimi anni. E saranno queste a creare problemi nelle zone di montagna, d’ora in poi.

Cosa fa venir giù le montagne

Ma Vaia, in tutto questo, c’entra o no? «Il tessuto vegetativo ha un effetto benefico, ovviamente, nel trasformare le piogge in portate d’acqua per il terreno. Il bosco quindi gioca sempre un ruolo prezioso per la stabilità della montagna. Ma i problemi veri di solito nascono dalle quote più elevate, dove la vegetazione è assente. Quando parliamo di dissesto idrogeologico in geologia parliamo di fenomeni che avvengono lassù, dove il bosco non c’è».

E quindi, i milioni di alberi abbattuti da Vaia, non costituiscono un problema? Certo, ci mancherebbe. Ma non sarà questo a far venir giù le montagne, come temono coloro che abitano ai piedi di quei boschi “fantasma”, letteralmente spazzati via in pochi minuti, nell’ottobre scorso.

Il grande problema, per Armanini, riguarda l’instabilità dei versanti. Che c’è sempre stata, in questo Vaia c’entra poco. «Ed è questo – conferma Armanini - che, negli eventi meteo più importanti, provoca il distacco di sedimenti, ghiaia, fango».

Ora occhio a piogge normali

Siccome il bosco aiuta a contenere gli effetti dei fenomeni normali, delle piogge non estreme ma frequenti, a evitare cioè che l’acqua scenda a valle ma sia trattenuta nel sottosuolo, ecco allora che d’ora in poi, nelle zone devastate dalla tempesta di ottobre, qualche rischio in più potrà esserci.

Detto in altre parole: non aspettiamo una Vaia-bis per temere il peggio. I guai potrebbero arrivare anche solo da una banale successione di temporali “normali”, ma ravvicinati nel tempo.

L’aumento delle intensità dei fenomeni meteo esige dunque un continuo adeguamento del sistema di protezione dal rischio di dissesti. Spiega Armanini: «Il Trentino è all’avanguardia in Italia, grazie a un Servizio Bacini montani ereditato dall’amministrazione asburgica e che tuttora funziona egregiamente. Ma d’ora in poi va cambiato passo. Servono nuovi standard, strumenti nuovi».

Se una cosa ha certificato la tempesta Vaia è che oggi un evento di questo tipo – raro, ma non nuovo nella storia del clima – produce molti più danni rispetto a i decenni o ai secoli scorsi. «Non è cambiata l’intensità del fenomeno, è cambiato lo scenario generale in cui questo fenomeno accade» spiega Armanini.

L’intervento massiccio dell’uomo, la diffusa antropizzazione, l’infrastrutturazione del territorio rendono il nostro habitat più confortevole rispetto al passato, ma anche più fragile.

«E’ cresciuta la vulnerabilità del nostro territorio» conferma il geologo. «Più lo conosciamo, più scopriamo elementi critici su cui lavorare. Per definizione la montagna è vulnerabile. La pendenza dei versanti aumenta la velocità dell’acqua».

Commissione in tour

Oggi intanto la Commissione del consiglio provinciale per lo studio sui danni provocati da Vaia si reca sui luoghi colpiti dalla tempesta: sarà nell’ordine a Pampeago, Moena, San Martino di Castrozza, Passo del Manghen. Il tour si chiuderà nell’area di Arte Sella.













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