Acqua, i referendari trentini contro la Provincia

Il Comitato protesta contro la decisione di affidare il servizio a Dolomiti Energia: «Non vogliamo Spa, neanche interamente pubbliche»


Luca Marognoli


TRENTO. Una società interamente pubblica per la gestione dell'acqua in Trentino, nata dalla costola di Dolomiti Energia che ha attualmente in mano le 200 mila utenze dei 17 Comuni di fondovalle. E' la direzione intrapresa dalla Provincia per impedire la provincializzazione imposta dal decreto Ronchi. Una strada che, però, il comitato promotore del referendum contesta: «Il tempo delle Spa è finito». Qualcuno forse potrebbe rimanere disorientato. Sia la Provincia, facendo valere le prerogative autonomistiche, che il Comitato per il referendum, con il suo milione e 400 mila firme incassate, propugnano la liberalizzazione dell'acqua. Stanno cioè dalla stessa parte della barricata. Ma i referendari respingono l'ipotesi della società pubblica, introdotto dall'articolo 22 della finanziaria provinciale. Sotto accusa, in particolare, il passaggio dove si stabilisce che anche in Trentino nelle Spa a capitale misto il socio privato possieda almeno il 40% del capitale sociale. Una decisione che - secondo i referendari - «non tiene conto delle sensibilità espresse da gran parte dei cittadini». Il perché lo spiega Francesca Caprini, referente provinciale del comitato: «Stiamo portando avanti da anni una lotta in difesa dell'acqua pubblica che è anche e soprattutto una grande battaglia culturale in difesa dei beni comuni. Una forma di resistenza e di proposta dal basso». Una questione politico-filosofica, ma anche economica. «Dati alla mano - continua Caprini - sappiamo bene che 15 anni di privatizzazioni idriche hanno fatto aumentare le bollette e diminuire gli investimenti, in tutta Italia e anche sul territorio trentino. Lo ha detto, venerdì a Trento, Alberto Lucarelli, uno dei due estensori dei quesiti referendari: il tempo delle Spa è finito. Per quanto a totale capitale pubblico, hanno sempre come finalità il profitto. E l'acqua non può più essere considerata una merce». Per Caprini le società in-house non sono la panacea, anzi. «L'ente locale si pone di fatto in un terribile conflitto d'interesse, poiché da una parte deve garantire un servizio pubblico e tutelare i cittadini, mentre dall'altra gode di dividendi tanto più alti quanto più su quel servizio idrico la speculazione è forte e le bollette salate. Con questo referendum si potrà far cadere l'intero castello di interessi costruiti intorno all'acqua».

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