Trento: dipendenti provincialicontrollati sulle ore al computer

Un software, introdotto sperimentalmente tra un migliaio di provinciali, quantifica l’interazione uomo e macchina, registrando per quanto tempo il dipendente è esposto al videoterminale



TRENTO. Tutelare i lavoratori che stanno al computer da un parte, dall’altra verificare che le ore passate al video siano calcolate in modo corretto. Insomma, il dilemma è come l’amministrazione può accertare il carico di lavoro dei dipendenti, senza ledere la loro privacy. In Provincia si è ricorsi all’autocertificazione, fino a quando non è apparso un software che quantifica le ore al computer.
Il software, introdotto sperimentalmente tra un migliaio di provinciali dal marzo del 2007 e il marzo successivo, è stato ideato dall’ingegnere Michele Galvagni, dell’azienda Mtt-Pro di Rovereto. Applicato in base ad un sistema elaborato all’Irst, spiega Galvagni, quantifica l’interazione uomo e macchina, registrando per quanto tempo il dipendente è esposto al videoterminale. Facile fare dell’ironia sull’autocertificazione come strumento per verificare chi sta al computer per più di 20 ore. Non a caso, il software adottato per un calcolo più scientifico ha messo in luce che circa la metà dei lavoratori che nell’autocertificazione aveva dichiarato di stare al computer per più di 20 ore settimanali, risultava in realtà starne di meno. Va sottolineato che l’introduzione del metodo di calcolo, adottato solo su base volontaria, non ha assolutamente lo scopo di calcolare la produttività dei dipendenti provinciali (sempre oggetto di facili luoghi comuni), ma è intesa come tutela della salute del lavoratore, in base al decreto legislativo del 2008, che ha sostituito la 626, la legge sulla tutela della sicurezza.
I dati della sperimentazione sono stati resi noti in una riunione che si è tenuta ieri tra i rappresentanti provinciali e quelli sindacali: Silvio Fedrigotti e Lanfranco Barozzi, rispettivamente responsabile del personale e del nucleo prevenzione e protezione della Provincia, Roberto Tavagnutti, Moreno Marighetti, Marino Spina e Paolo Marzola in rappresentanza di Cisl, Cgil, Uil e Fenalt.
Scopo della riunione era dunque fare il punto sulla sperimentazione e decidere con i sindacati l’opportunità di introdurre a tutto il personale (e non solo al campione volontario) il calcolo delle ore passate davanti al pc. Spiega Barozzi: «Come responsabile del nucleo prevenzione e protezione, devo applicare la legge che prevede la discriminante delle 20 ore settimanali al video, per dotare di particolari tutele il dipendente. Si tratta di regolari visite mediche (ogni cinque anni e, sopra i 50 anni, ogni due), l’eventuale bonifica del posto di lavoro e controllo della corretta postura al video. Finora ci siamo affidati all’autocertificazione, ma era chiaramente una valutazione soggettiva che si è scontrata con quella scientifica. E’ chiaro che se c’è chi percepisce di fare più di 20 ore al video (ma ci sono anche casi inversi) e non le fa, bisogna rivedere il sistema di valutazione». La proposta di introdurre il software a tutti i videoterminalisti fa discutere i sindacati, che temono possa essere un’arma a doppio taglio, di controllo anche della produttività.

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