Pd, Olivi capolista. Zeni: così muore il partito

Decisione a sorpresa della commissione elettorale. Intanto Nicoletti conferma le dimissioni


di Chiara Bert


TRENTO. Alessandro Olivi capolista del Pd alle elezioni di ottobre. La decisione di ieri sera della commissione elettorale (7 voti a 2, contrari gli zeniani Vera Rossi e Christian Maines) spiazza tutti e piomba su un partito spaccato e in preda ai veti incrociati dopo l’assemblea di domenica finita senza un’intesa sulla segreteria. Proprio in quella sede Olivi - che il segretario Michele Nicoletti aveva proposto come coordinatore - si era tirato indietro di fronte alle critiche di una parte del partito che ha chiesto un cambiamento di linea politica. Meno di 24 ore dopo l’assessore all’industria viene indicato come capolista, ruolo a cui si era proposto dopo la sconfitta alle primarie: «Io non faccio passi indietro, ne faccio due avanti». Sarà l’assemblea, alla fine, ad esprimersi sulla lista proposta dalla commissione. Ma è chiaro che l’accelerazione della commissione è destinata a scatenare uno scontro ancora più feroce nel partito. Le parole pronunciate domenica in assemblea dal capogruppo Luca Zeni non lasciano dubbi: «Annuncio il mio voto contrario alla proposta di far fare a Olivi il segretario di fatto. Anche la questione del voler forzare sul capolista ora più che increduli lascia esterefatti. Qui o si cambia o si muore», ha detto accusando la dirigenza di essere «ormai scollegata dal suo elettorato, incollata alle poltrone e chiusa in un fortino». Piergiorgio Sester, presidente della commissione elettorale, spiega così la scelta su Olivi: «Lo dico serenamente, abbiamo ritenuto fosse il momento perché ci eravamo impegnati a decidere oggi. Questo non è un risarcimento a Olivi, oggi era importante segnare il tracciato, è una questione di chiarezza per chi deciderà di starci fino in fondo. E poi l’indicazione di Olivi ci sembra per i temi che rappresenta, l’attenzione al lavoro». In attesa di capire quali saranno le reazioni del fronte anti-Olivi, Zeni e Borgonovo Re in testa, l’altra notizia di ieri sera - arrivata con un lungo comunicato - sono le dimissioni, questa volta «irrevocabili», del segretario Nicoletti. L’assemblea aveva votato un documento in cui gli chiedeva di ripensarci , ma Nicoletti conferma: «Ringrazio per la fiducia ma ribadisco che le mie sono dimissioni irrevocabili, rafforzate dal venir meno di quella condivisione che è stata alla base della mia segreteria».

Il Pd sempre più allo sbando dovrà dunque trovare un nuovo segretario che fin qui non è riuscito ad esprimere, vittima di veti incrociati che bloccano qualsiasi decisione, con una profonda sfiducia reciproca tra dirigenti. «Abbiamo perso la ragione», è il commento su Twitter di Mattia Civico e Lucia Maestri. In tanti invocano un rinnovamento, ma al momento di individuare le persone ogni possibilità di accordo è finora andata a vuoto. Sfumata l’ipotesi di Maurizio Agostini coordinatore, che si è detto indisponibile, si riparte da capo. «Nel Pd c’è una maggioranza silenziosa e una minoranza rumorosa», insiste il presidente Roberto Pinter, «convocherò una nuova assemblea solo quando ci sarà un’intesa». Nessuno ormai se la sente di azzardare ipotesi. E intanto sulla rete la base delusa si scatena: c’è chi vuole mandare tutti a casa e chi minaccia di votare Patt ad ottobre. Ma ce n’è anche per Zeni, accusato di essere tra i killer del partito. A meno di tre mesi dalle elezioni, la crisi non potrebbe essere più nera.













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