Olivi-Pd, è gelo con il gruppo consiliare

Manica: «Nessuna sfiducia, ma serve collegialità». Silenzio del vicepresidente, che ha minacciato di lasciare l’incarico


di Chiara Bert


TRENTO. È gelo tra il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi e il gruppo provinciale del Pd dopo il comunicato con cui venerdì il gruppo ha pesantemente criticato l’iniziativa «in solitaria» organizzata dall’assessore giovedì prossimo alla Cavit con gli amministratori Pd a lui più vicini, e ha anche stigmatizzato uno scarso coinvolgimento di Olivi nel gruppo. La reazione a caldo del videpresidente, di fronte a quella che ha letto come una dichiarazione di sfiducia nei suoi confronti, è stata la minaccia di lasciare il suo ruolo in giunta.

Ieri i tentativi di ricomporre la frattura non sono andati a buon fine. Nessun contatto tra Olivi e il resto del gruppo. Ieri il vicepresidente non si è presentato in consiglio, dove sta proseguendo l’ostruzionismo sul disegno di legge antiomofobia, e non ha partecipato all’incontro del gruppo convocato ad ora di pranzo. «Non l’abbiamo visto», dice il capogruppo Alessio Manica, fino a non molto tempo fa uomo molto vicino al vicepresidente. Che ridimensiona il comunicato del giorno prima: «Le voci di dimissioni? Le considero chiacchiere, me lo auguro. Noi non abbiamo mai fatto una nota di sfiducia, abbiamo posto una questione di metodo su come dobbiamo affrontare il percorso del Pd e la sfida dei rapporti dentro la coalizione. Una sfida che non può partire in solitaria. Il nostro era un richiamo alla collegialità, Olivi è stato il nostro candidato presidente, è la massima figura istituzionale e riferimento consigliare. Ci troveremo e chiariremo». Ieri però la segretaria del partito Giulia Robol ha preso le distanze dalla mossa del gruppo: «Non l’ho compresa. Le situazioni di difficoltà vanno espresse in un confronto franco e sereno nei luoghi di partito e non sulla stampa. Torniamo al dibattito sui temi veri, lunedì c’è una riunione del coordinamento, spero che se ci sono questioni in sospeso vengano fuori. Basta con continue polemiche sterili, non rappresentano ciò che è il Pd sul territorio». «Io - avverte Robol - non voglio più fare l’arbitro, il Pd non può essere la somma dei singoli. Il coordinamento è programmato ogni 15 giorni, se serve e me lo chiedono andrò alle riunioni del gruppo». E sulle ventilate dimissioni del vicepresidente, non lascia margini: «Non esistono. L’operato del vicepresidente va valutato sulle questioni istituzionali che lui porta avanti. Forse è più importante la Whirlpool che ottiene un anno in più di cassa integrazione che la Leopoldina...». Ma dentro il gruppo provinciale il malessere resta a livelli di guardia e a Olivi si rimproverano rapporti troppo radi con la parte consigliare e un’azione troppo individualista. E la notizia della sua Leopolda alla Cavit è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il confronto in questo momento pare rinviato a domani, giornata di giunta e in cui tradizionalmente il gruppo si riunisce, anche se oggi il consiglio è ancora convocato sull’omofobia. Ma sui rapporti interni pesano - oltre alla gestione della ricandidatura di Miorandi a Rovereto, dove Robol e Olivi sono sul banco degli imputati - anche le diverse visioni sul progetto del «cantiere democratico» lanciato da Dellai. E l’apertura della segretaria, ma anche di Olivi, non piace alla minoranza del partito che fa capo a Filippi, Civico e Borgonovo Re. Intanto ieri il caso è rimbalzato anche in consiglio, dove Claudio Civettini ha chiesto perché l’assessore non fosse presente e se fosse vero che ha rassegnato le dimissioni. Solidarietà di Walter Viola (Pt) a Olivi, «attaccato solo perché ha deciso di fare un incontro di riflessione». «Il Pd non limita la libertà di opinione di nessuno», ha risposto Manica.

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