La catastrofe naturale diventa ispirazione per l’artista

moena. Dalla catastrofe arborea e quindi ambientale dell'autunno scorso ad una ispirazione per il dolore del disastro e per la salvezza di quello che il vento non ha potuto o voluto distruggere. Qui...


Giorgio Dalbosco


moena. Dalla catastrofe arborea e quindi ambientale dell'autunno scorso ad una ispirazione per il dolore del disastro e per la salvezza di quello che il vento non ha potuto o voluto distruggere. Qui a Moena dove, forse più che altrove, quella forza devastatrice ha espresso tutta la sua violenza, Vigilio Jellici, in arte Jellico, trova in sé la rabbia per fare urlare i suoi legni, dare ancora voce e vita a quelle piante divelte. Ecco, dare vita a quello che è morto, abbracciare con una nuova forma ciò che la natura con un inimmaginabile suicidio ha ridotto. E' un invito-progetto culturale a tutti coloro che possono fare qualcosa di utile.

Jellico ha 83 anni ed è un artista. Sbuffa quando lo si accusa che le sue opere sono influenzate da colleghi più famosi di lui: “Si è sempre influenzati in tutto, non si inventa niente, si modifica quello che già esiste. Anche Picasso, Picasso che è Picasso, fu influenzato dall'arte africana.” Ma non è questo il momento di una recensione.

Jellico, adesso, con le sue due o tre ore di lavoro al giorno, si è prefisso un progetto intimamente e idealmente bellissimo. Un tronco abbattuto dal vento e rotolato un po' a valle assieme ai suoi fratelli alberi in un indescrivibile cimitero deve riprendere vita. Un suo segmento, quasi le sue mani, fossero una placenta della natura, riprende vita e si trasforma. In testa ad un piccolo tronco con una bellissima ispirazione Jellico ha scavato a mezza luna un incavo: “Sì questo tronco urla tutta la sua disperazione per il disastro. Vede? Questo è un urlo, un urlo della natura.” “L'ha ispirato Munch!” “Embé, Munch o non Munch – con una mano al cui dito campeggia un anello di legno dà uno schiaffo all'aria – è la natura che urla.”

La sua ispirazione vuole essere un inno alla ricostruzione della natura a cui invita tutti. Per certi versi sembra ancora quel giovane di sessanta anni fa che, tornato dalla Germania, dove era emigrato, per riabbracciare la mamma che si era finta moribonda per poterlo riavere con sé, si inventò ristoratore e aprì la “Stua”, la prima pizzeria di tutta la val di Fiemme e Fassa. Se allora si fece promotore di un nuovo costume di vita come lo è stata e com'è la pizza, adesso è promotore inconfessato di un movimento artistico culturale che contribuisca alla ricostruzione del danno ambientale.

Adesso con la sua non più giovinezza Jellico ha trovato proprio nella automutilazione della natura (cos'altro può dirsi di quel disastro di milioni di alberi abbattuti non dalla mano umana ma da quella di uno dei suoi elementi?) nuova linfa creativa. Ci guarda con gli occhi sornioni e insieme tristi sotto quel cappello verde marcio: “Inutile e stupido – dice con una smorfia - girarci attorno alle parole. Un artista deve dare corpo alle sue emozioni. Questo è il suo compito. Meglio ancora se, come in questo caso, aiuta a creare coscienza ambientale.”













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