In un mese due detenuti si sono tolti la vita  

Il 19 novembre la morte in carcere di un giovane condannato per stupro di gruppo e rapina



TRENTO. In un mese sono due i suicidi consumati nel carcere di Trento. Ieri il tunisino di 32 anni, la cui morte ha scatenato la rivolta dei detenuti; il 19 novembre, all’ospedale di Trento era morto, invece, un ragazzo di 20 anni. Era un giovane nigeriano, portato in codice rosso all’ospedale il 14 novembre, dopo aver tentato il suicidio in carcere a Spini. Lo aveva fatto a distanza di pochi minuti dalla sentenza che lo aveva condannato a sette anni e 4 mesi per stupro di gruppo e rapina.

Una storia delicata quella di questo ragazzo che a Trento era arrivato come profugo e che era stato arrestato poco meno di un anno fa nell’ambito dell’indagine della squadra mobile su uno stupro di gruppo. A denunciare il fatto era stata una donna, una nigeriana, che vive in Veneto e che quella sera di novembre era salita a Trento per trovare degli amici. Entrambe le circostanze dei suicidi sono al vaglio della Procura. Quello che il sindacato degli agenti, il Sinappe, rileva, è una situazione che va molto oltre lo stato di preoccupazione, a questo punto. Il segretario regionale, Andrea Mazzarese, che rappresenta gli agenti di polizia penitenziaria, sottolinea il clima all’interno della struttura. Le critiche sono mosse all’attuale direzione. «I detenuti non sono adeguatamente sanzionati per i propri comportamenti scorretti». Questo avrebbe determinato un aumento delle minacce, delle reazioni violente e degli episodi di autolesionismo da parte dei detenuti stessi. Il riferimento è a recenti fatti. Non solo due suicidi, in carcere a Trento ci sono stati anche un tentato suicidio ed episodi di autolesionismo, sempre nell’ultimo mese. Due detenuti avrebbero assunto un mx di sostanze che avrebbe fatto perdere loro il controllo, tanto da minacciare e sputare addosso sia agli agenti intervenuti per tentare di calmarli, sia al personale medico sanitario intervenuto per soccorrerli. Gli episodi di autolesionismo sarebbero diversi: auto inferti con oggetti taglienti, come lamette o forbici usate come coltelli, oppure utilizzando le mura stesse della prigione. Difficile per gli agenti, pochi, intervenire senza una gestione della situazione a monte, dice il sindacato. «Il nostro grazie va alle forze dell’ordine intervenute ed ai vigili del fuoco» chiude Mazzarese ricordando: «Siamo solo 184», 350 i detenuti. (f.q.)













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