Il «principe» ha amato il potere, non il denaro

Enfant prodige della sinistra Dc, ha inventato la Margherita e poi l’Upt Uomo solo al comando, iroso ma capace di ascoltare. Con lui finisce una stagione


di Alberto Faustini


SEGUE DALLA PRIMA. E legittime figlie della Dc sono l'intuizione - tutta dellaiana e degna d'esportazione - della Margherita e poi dell'Upt, le due corazzate che, grazie anche ad uno straordinario rapporto con i sindaci, hanno permesso a Dellai - uomo solo al comando - di governare per quasi quindici anni la Provincia. Un capo assoluto prima acclamato, poi confermato a furor di popolo, infine sopportato, come capita a tutti coloro che, con il tempo, pensano che la sopravvivenza di un'istituzione sia inscindibilmente legata al loro destino. E questa, ovvero l'incapacità di costruirsi un erede, l'incapacità di immaginare che qualcuno possa guidare la Provincia come o meglio di lui, resta, accanto a indubbi meriti, la più grande colpa di questo inossidabile governatore che ora sogna di essere uno dei (ri)costruttori di un'Italia guidata da Monti e, guarda caso, dall'immortale ma assai ridimensionato centro moderato cattolico democratico.

Del resto, questi aggettivi hanno segnato ogni passo della vita di Dellai, che oggi ha solo 53 anni, ma che se ne stava al centro già a metà degli anni ’70, quando i suoi compagni del Liceo Prati - per non dire degli altri studenti - sognavano ancora di fare la rivoluzione. Ed era al centro, leggermente sbilanciato a sinistra, anche nella stagione del Gruppo Don Milani (caro anche a Gianni Kessler, a Silvano Zucal, Michele Nicoletti, Giorgio Lunelli, ai fratelli Perego, ad Andreatta...). Va anche ricordato che il centrista Dellai - che abbandonò l'università per la politica - "rischiò" di entrare in consiglio provinciale poco più che ventenne, enfant prodige di una sinistra democristiana che in quelle elezioni finì per dare vita ad un fratricidio, ma che di fatto gli spalancò comunque le porte per crescere: sotto l'ala, insostituibile, di Bruno Kessler, l'uomo che inventò - grazie anche ad un proficuo duello/dialogo con Flaminio Piccoli a Roma - la Provincia autonoma moderna di oggi.

Alle fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80, il predestinato Lorenzo - che curiosamente non seppe fare altrettanto, non permettendo mai a nessuno di crescergli accanto - imparò da Kessler (e poi anche da Paolo Berlanda) a tacere e ascoltare. Imparò a stare in piedi venti ore al giorno, come faceva l'"orso" Bruno: per incontrare tutti, per ascoltare tutti, per essere ovunque. Il confronto, tanto amato dal "K", non è però il suo forte: Kessler sapeva discutere una notte intera con gli studenti di sociologia e poi prendere una decisione all'alba. Dellai - come anche l'ultimo non confronto con l'Università ha dimostrato - ha sempre preferito una sorta di dispotismo illuminato. Il ragazzo è bravo e capace e ha una marcia in più - si diceva allora e si conferma oggi - ma non mettetegli bastoni fra le ruote e non fategli ombra: anche se tutti gli riconoscono doti pressoché ineguagliabili, l'elenco degli ex amici, nella Dc e altrove, è lunghissimo.

È cresciuto comunque in fretta, Dellai. Capogruppo dell'ancora potentissima Dc nel Comune di Trento a 26 anni, più giovane sindaco di capoluogo d'Italia cinque anni dopo. Acclamato salvatore della Provincia alla fine degli anni ’90, dopo la citata e complicata breve stagione di Andreotti. Inventore di sigle e partiti capaci di resistere alla caduta del muro di Berlino e di molti altri muri della politica e della società, ha conservato vivo quello che lui stesso chiama il cattolicesimo democratico. Un miracolo. Tanto che ancora lo si paragona ad Asterix, l'ultimo gallo capace di resistere, con il suo villaggio, a Cesare. Fra l'altro: "Cesare" Monti gliene ha fatte di tutti i colori, ma lui ha capito che questo può essere il taxi giusto per correre a Roma. E tutto il resto è passato in secondo piano.

«Vorrei essere ricordato - ha detto di recente - come un presidente che dopo quasi 15 anni di potere non ha cambiato il suo stile di vita e non si è montato la testa. Un presidente che ha avuto a cuore il Trentino e l'autonomia». Tutto vero: con la moglie e i tre figli vive ancora nella palazzina di Gardolo nella quale arrivò appena sposato. La gente si stupisce ancora quando il sabato mattina lo incontra, in camicia a quadri non esattamente presidenziale, a fare la spesa. Come Andreotti (Giulio) ha amato il potere, non il denaro. E l'unica cosa "esotica" che s'è concesso è qualche sciata - alla Dellai, gran velocità, poche curve e poche soste - solo negli ultimi anni. In quanto alla testa, è difficile non montarsela un po', quando si è per così tanto tempo gli uomini più potenti di un territorio. Un difetto se lo riconosce: «Tendo a perdere la pazienza». È un eufemismo: la perde eccome. Ma tutti tendono a perdonarlo, perché ancora lo riconoscono come il più bravo del villaggio e perché sanno che ascolta anche quando finge di non farlo. Non ama, però, i liberi pensatori e tende a circondarsi dei soliti noti: scudieri fidati.

Da oggi il villaggio - anche se Dellai sarà il primo a stupirsene - dovrà andare avanti senza di lui. E in qualche modo dovrà sopravvivergli, come se davvero, dopo di lui, dovesse arrivare il diluvio. Il diluvio, a onor del vero, c'è già: ha il volto della crisi, di un bilancio vicino al collasso, dei tanti no che bisognerà dire dopo i sin troppi sì detti (sempre e solo da lui) in questi anni, di tante scelte rinviate, di tante decisioni non prese e anche di qualche errore importante: le troppe società provinciali che si sono mosse con sin troppa libertà, una riforma delle Comunità di valle che fa acqua, un assistenzialismo che ha drogato il Trentino, rendendolo a tratti incapace di affrontare questa fase delicatissima. Dalla sua, ha i risultati raggiunti da un Trentino che lui ha voluto più internazionale, attento alla formazione, alla ricerca, ai giovani e ai più deboli, con iniziative straordinarie che hanno anche in gran parte protetto questa terra dalla crisi. La maggioranza che da oggi andrà avanti senza il Principe Lorenzo l'ha spesso guardato senza osare ostacolarlo. E così l'opposizione, che non ha saputo essere all'altezza del proprio ruolo e che non ha saputo esprimere, in quindici anni, un'alternativa credibile.

Il futuro ha la faccia di Pacher, che da oggi dovrà governare per una decina di mesi un Palazzo in fiamme. Più d'uno - con esiti non scontati - tenterà di convincerlo a tornare sui suoi passi: per guidare l'attuale maggioranza alle elezioni e al governo, non ritirandosi, come annunciato, a vita privata. Il futuro ha anche la faccia di Ugo Rossi, l'autonomista che vuole essere l'Andreotti del 2013: fra i due litiganti di centro e di sinistra, spera infatti di emergere, per guidare alla riconquista di piazza Dante una compagine che senza il collante dellaiano rischia di farsi del male. Il futuro ha anche il volto dei tanti possibili aspiranti presidenti di centrosinistra: Olivi, Zeni e Borgonovo Re, senza dimenticare Gianni Kessler, che il sogno non l'ha mai abbandonato. Il centrodestra è invece sempre allo sbando: paradossalmente, l'unica alternativa che arriva da quell'area ha le sembianze di un altro ex democristiano. Parlo di Silvano Grisenti: che aspetta la sentenza della Cassazione, che fra un mese potrà dargli un definitivo via libera o bruciargli le ali mentre s'appresta a tornare a volare. Il futuro ha anche le facce degli "esterni" che ancora ci credono, anche se hanno ben poche chance: Schelfi, Mosna e De Laurentis. Ma il futuro ricorda anche il volto di Dellai, che il Corriere descrisse a suo tempo come "carismatico, popolare e vincente" (ma allora correva nel villaggio, non nel Paese): perché, se eletto, l'ex governatore (strano scrivere ex) avrà il non facile compito di difendere e di spiegare l'autonomia a Roma. E perché le sue scelte - che comprendono anche l'ipotesi di battersi fra due mesi contro la maggioranza che l'ha sostenuto sino ad oggi - condizioneranno comunque il cammino di Pacher e di chi verrà dopo di lui. Insomma: oggi è davvero finito il Trentino com'era. Ma potrebbe essere anche una grande occasione per dar vita a una nuova idea di autonomia e per costruire, grazie anche ad un Dellai in qualche stanza dei bottoni, un rapporto diverso con Roma. In tutti i casi, una stagione se ne va. E si tratta - se non altro perché ora i denari sono finiti - di una stagione irripetibile. Inutile cercare un altro Dellai. È di un nuovo presidente capace di dialogare e di guardare lontano, non di un mal riuscito clone, che ha bisogno la Provincia. E non sarebbe male preoccuparsi di quanto accadrà anche in Regione: da oggi il "palazzo inutile", che invece andrebbe riempito di nuovi contenuti, torna nelle mani di Durnwalder. Ma anche lui sta facendo le valigie, mettendoci dentro l'altro pezzo di quest'epoca che si chiude.













Scuola & Ricerca

In primo piano