lavoro

Il Jobs act «rottama» 2 mila co.co.co trentini

Dal 2016 salteranno la maggior parte delle collaborazioni a progetto. L’assessore Olivi: «Una riforma di sinistra». Dalla Cgil una cauta apertura


di Chiara Bert


TRENTO. Saranno circa 2 mila, secondo una ragionevole stima, i co.co.co e co.co.pro trentini «rottamati» dal Jobs act. Questo il termine che il premier Matteo Renzi ha usato per spiegare il senso della riforma del lavoro di cui il consiglio dei ministri ha varato venerdì i decreti attuativi. Le due sigle che hanno accompagnato la vita lavorativa di almeno tre generazioni di italiani andranno in soffitta dal 1° gennaio 2016: questo prevede il riordino delle tipologie contrattuali approvato in via preliminare dal governo e che ora dovrà passare al vaglio delle Commissioni lavoro in parlamento.

Le collaborazioni a progetto rappresentano in Italia circa 505.000 contratti. In Trentino, secondo i dati dell’ultimo Rapporto sull’occupazione dell’Agenzia del lavoro, i co.co.co erano 2500 nel 2013 (l’1,1% del totale) contro i 2900 del 2012. Il Jobs act non li abolirà tutti: le collaborazioni continueranno a esistere nei settori regolati da accordi collettivi, ovvero negli ambiti dove sono più diffuse - call center, ricerche di mercato, recupero crediti - in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore, così come nell’esercizio di professioni intellettuali. Per quanto riguarda i contratti co.co.co, resteranno fino al 1° gennaio 2017 nella Pubblica amministrazione, in attesa della riforma del settore.

Ora la domanda è: una volta abolita la tipologia contrattuale, che ne sarà dei lavoratori, che certo non scompariranno insieme ad una sigla? Qui la opinioni divergono, a partire dai sindacati e dal Pd, il partito del presidente del consiglio.

Per favorire la stabilizzazione del lavoro attraverso il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, il Jobs act ha previsto una sorta di «sanatoria»: fino al 31 dicembre 2015 i datori di lavoro privati che assumeranno co.co.co, co.co.pro e partite Iva con un contratto di lavoro subordinato a tempo intedeterminato avranno la garanzia che questi lavoratori non potranno intentare una causa per quanto riguarda il rapporto di lavoro pregresso.

Basterà a trasformare i vecchi precari in nuovi lavoratori stabili? Franco Ianeselli, responsabile per la Cgil delle politiche del lavoro, mostra una cauta apertura: «Non ci sono automatismi, dire che tutti questi lavoratori verranno stabilizzati è propaganda. Verosimilmente accadrà per una parte di loro, un’altra resterà nel lavoro autonomo, c’è sicuramente chi passerà a partita Iva. La riforma mette in campo nuove regole e sgravi sui contributi per promuovere il lavoro a tempo indeterminato, le dinamiche che ne scaturiranno andranno attentamente monitorate».

Chi è convinto che il Jobs act sia «una riforma di sinistra» è l’assessore provinciale al lavoro Alessandro Olivi: «Sinistra per me vuol dire protezione sociale ma anche opportunità. Il contratto a tutele crescenti, l’abolizione dei contratti atipici, lo sforzo di allargamento degli ammortizzatori sociali, accompagnati dagli incentivi alle imprese per le assunzioni sono scelte importantissime. Oggi l’Italia è spaccata tra chi è tutelato e chi non lo è, questa riforma ha il pregio di aprire una strada nuova, si occupa di chi un lavoro non l’ha mai avuto o ha iniziato la propria vita lavorativa all’insegna della provvisorietà. Penso che qualche garanzia in più vada introdotta sui licenziamenti collettivi, ma complessivamente è una riforma che va corretta, non fermata».

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