parla paolo dal pai 

«Ha caricato quell’arma e poi mi ha preso la testa»

TRENTO. «Click». La pistola è “armata”, la canna fredda e forte preme sulla pelle. Giù per terra con il rapinatore. Paolo Dal Pai racconta gli attimi dell’aggressione nel suo ristorante. La pistola...


di Francesca Quattromani


TRENTO. «Click». La pistola è “armata”, la canna fredda e forte preme sulla pelle. Giù per terra con il rapinatore. Paolo Dal Pai racconta gli attimi dell’aggressione nel suo ristorante.

La pistola era puntata alla tempia.

«Sono morto, ho pensato. No...Dovevo tenere lontano quel braccio, quella mano».

Come sta?

«Arrivo ora (poco dopo le 8 di ieri mattina) dal pronto soccorso».

Una notte tra Questura ed ospedale ed apre il locale?

«Ho delle persone che arrivano a pranzo».

Era seduto al tavolo del ristorante, martedì sera.

«Proprio qua, davanti c’era un amico, il Bleggi. Stavo facendo le fatture. Entra un signore, aveva occhiali, berretto, la sciarpa sulla bocca. Gli dico “Buonasera” lui non risponde, procede dritto, mi passa accanto».

Come andasse a sedersi.

«Mi prende la testa con la mano e la preme contro la pistola. Fa così, vede? Ma cattivo. Mi fa male, di scatto mi alzo e dico “ Ma che...”».

Lucido. L’istinto.

«Sono esploso, lo ho sbilanciato, lui è caduto per terra. Con una mano tenevo lontana quella pistola, con l’altra mi difendevo. Siamo rotolati, due tre volte».

Botte e morsi.

«In un minuto che pareva un secolo eravamo fuori dal locale, calci, pugni e urlo “Bleggi, chiama la polizia”».

Gli occhi sempre sulla pistola, intanto arriva l’amministratore del condominio e il suo amico lo avverte. Chi c’è fuori scappa.

«Avevo paura di quella pistola lì perché quello non la mollava. Ad un certo punto è partito un colpo “Banf!”. Ha fatto una fiammata e l’odore...zolfo».

L’arma sempre contro.

«Cercava di girarla verso di me e io la tenevo via, tenevo giù la sua testa. Lui girava la pistola.

Le sirene della polizia. Eravate a terra, fuori dal locale.

«Le Volanti. Ho detto “ha una pistola” e loro, gli agenti, lo hanno immobilizzato».

Si trattava della perfetta imitazione di una P38. Di una pistola finta.

«Ma io mica lo sapevo. In quei momenti, ma si immagina? E poi lo sparo. Lo sparo guardi che era vero, ho visto la fiammata, lunga. Il fumo, l’odore. Quella mano...»

Quella del rapinatore...

«Doveva stare lì, lontana da me. Ha caricato il revolver: quando ho sentito quel “click” mi sono sentito morto. Questa cosa così cattiva, ma forte, fredda... alla testa...»

La pistola.

«Sì. Lì è scattata una molla, sono saltato per aria».

La disperazione, il coraggio

«Ma no, non sono coraggioso. È scattato qualcosa quando ho sentito la pistola alla testa. Ma non riuscivo a tenerlo fermo a terra, mi mordeva».

Che cosa le diceva?

«Non ha detto una parola. Non ha gridato, nemmeno fuori, quando lo tenevano fermo».

Il telefono suona senza sosta, sono gli amici. Al bar la gente chiede: il racconto fa paura.













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