Gli alpini: «Il tricolore non si discute»

Dopo lo scontro d'agosto con Panizza una dura mozione degli alpini di Trento


Carmine Ragozzino


TRENTO. Il Piave mormora e loro non urlano. Ed è con serena intransigenza che hanno messo nero su bianco le loro convinzioni. Il documento è già arrivata sulle scrivanie di vertici istituzionali e militari, locali e nazionali. E deve aver fatto sobbalzare più di un interlocutore. Gli alpini, le penne nere - che in Trentino sono una città d 25 mila anime - campano di un dna fatto di semplicità, solidarietà e orgoglio. Sono valori «tricolore»: per loro la bandiera nazionale è la sintesi di un sentimento unitario. Accomuna nord e sud. Unisce le generazioni. Annulla ruoli sociali e culturali. Sul tricolore, dunque, gli alpini non «discutono». E non accettano strampalate revisioni di una storia che si consolida anche cantando.

Mameli. Il «Il Piave»: per gli alpini non sono solo canzoni. Sono - dicono - essenza. E collante. Ecco quel che il direttivo sezionale degli alpini di Trento ha voluto ufficializzare nella maniera più solenne e per certi versi dirompente in una mozione approvata lo scorso 9 settembre. Mozione dirompente - con la lettera conseguente - perchè gli alpini non sono adusi a prese di posizione pubbliche. E pubblica, in realtà, non sarebbe dovuta essere nemmeno questa missiva ufficiale. Almeno fino alla prossima pubblicazione sul bollettino degli alpini. Ma tant'è.

L'atto c'è. Ed è una tirata d'orecchie - (Dellai intenda) - alle esternazioni recenti - (si era ad agosto) - dell'assessore provinciale alla cultura Panizza. Lui non aveva trovato di meglio di chiedere agli alpini di non cantare «La canzone del Piave» per non «offendere la storia e i nostri nonni» arruolati e caduti con divise austriache. Già allora, ad agosto, Maurizio Pinamonti - presidente provinciale degli alpini - ci aveva messo un amen a replicare a Panizza. «Il Piave rappresenta i simbolo di un'Italia che stava per essere calpestata e che invece ritrovò la forza e la volontà di reagire per "liberare il Trentino Alto Adige". Panizza, naturalmente, cercò di spiegarsi in un chilometrico scritto: Schützen, Alpini, Kaiserjager, Trentino, Tirolo eccetera. Ma ribadendo, nella sostanza, un'appello al rispetto per i «caduti di serie B», i trentini - cioè - morti dalla parte asburgica.

Finita lì?. Nemmeno per idea. Certo, Maurizio Pinamonti, presidente in penna nera, esclude ogni volontà polemica: non sta nello stile del sodalizio. Ma se prima si era di fronte ad un carteggio tramite stampa, adesso carta canta». Si coinvolgono il Commissario del Governo, il questore di Trento, il comandante della Guardia di Finanza, quello proviciale dei carabinieri oltre che generali, presidenza nazionale Ana e, infine, la Provincia: Dellai e Dorigatti.

Non l'hanno digerita gli alpini. Troppi - spiegano nella lettera - sono gli episodi spiecevoli in cui manifestazioni di folclore, (pan- tirolese, quello per cui Panizza gongola e apre la borsa, ndr) sono «spariti» i tricolori. E, di più, stanno su uno stomaco grande quanto quelli di 25 mila iscritti che «le esternazioni di rappresentanti delle istituzioni locali, (non solo Panizza, ndr) che, pur potendo avere un mero sapore propagandistico, rischiano di vulnerare o offendere simboli, idealità e concetti nei quali non solo noi alpini, ma tutti gli italiani si riconoscono».

Confronto sì - spiega la lettera e conferma Pinamonti - con tutti. Collaborazione con Shützen, tirolesi, austriaci e chiunque altro, come per altro accade, ma a patti chiari. Anzi chiarissimi: «Non c'è - si legge - negoziabilità per la cornice nazionale». Cosicchè per gli alpini la «Canzone del Piave» fa sentire «parte di quel sistema paese che rappresenta la sola via per la nostra realizzazione civica». Non sarà mai amminato un tricolore. Mai un alzabandiera senza cantare l'inno e le canzoni degli alpini.

Nella politica e nelle istituzioni c'è già chi diventa verde, ma di bile anacronistica, quando si parla d'Italia. Agli alpini, ma non solo a loro, basta e avanza.













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