Arrestato per l’overdose mortale

La scomparsa a 30 anni di Stefano Buccella non fu una fatalità. Incastrato dai carabinieri l’uomo che cedette l’ultima dose


di Luca Marognoli


TRENTO. Una morte “senza un perché”, avevamo scritto nel giugno scorso. Di un ragazzo che aveva appena compiuto trent’anni e che nelle foto postate su Facebook appariva come l’immagine della salute. Oggi, 5 mesi e mezzo dopo, i carabinieri del nucleo investigativo provinciale hanno dato una risposta a quella domanda, che sembrava destinata a non averne alcuna. Stefano Buccella non è morto per cause naturali: è stato ucciso dalla droga. Un mix di cocaina ed eroina, definito in gergo “speedball” per indicare l’assunzione simultanea di un oppiaceo e di un eccitante.

Quel ragazzone sempre sorridente, che faceva l’operatore socio-assistenziale alla casa di riposo di via Veneto, dove si era fatto apprezzare per l’umanità ed allegria che sapeva trasmettere agli anziani sofferenti, nascondeva un segreto. Un triste segreto che - stando ai carabinieri - neppure i suoi familiari conoscevano. Lo hanno appreso nei giorni scorsi, quando i militari li hanno avvertiti che dietro la morte di Stefano c’era un possibile responsabile. L’uomo che la notte prima del decesso gli aveva ceduto una dose di cocaina, risultata poi - come l’autopsia avrebbe confermato - fatale.

Quell’uomo, Amine El Zitouni, 31 anni, tunisino, è stato arrestato con l’accusa di omicidio colposo, morte causata da altro reato e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Un quadro accusatorio molto severo, quello costruito dalla pm Maria Colpani, che è stato suffragato dall’ordinanza di custodia cautelare spiccata dal Gip Francesco Forlenza grazie alla messe di elementi probatori raccolta dagli investigatori dell’Arma. Ricondurre la morte per overdose ad un presunto responsabile non è cosa facile né tantomeno comune. Il capitano Andrea Oxilia, comandante del nucleo investigativo, ha messo l’accento con forza su questo aspetto ieri, nel presentare l’operazione alla stampa. «La Procura - ha detto - ha voluto mandare un messaggio fortissimo ai cittadini e alla “piazza” degli spacciatori che la magistratura e i carabinieri credono fermamente nella lotta a questo fenomeno per arrivare alla soluzione anche di casi difficili come è stato questo».

Se non ci fosse stata questa determinazione, la scomparsa di Stefano Buccella sarebbe rimasta catalogata nell’elenco delle “tragiche fatalità”, spesso senza una risposta. E invece «un po’ l’esperienza, un po’ la curiosità investigativa - ha aggiunto il colonnello Giovanni Cuccurullo, comandante del reparto operativo - ci ha fatto pensare che quella non fosse stata una morte naturale. E l’autopsia ce ne ha dato conferma».

Indagini non facili e che hanno richiesto una pazienza tale da spingere i carabinieri - ha precisato Oxilia - a denominare l’operazione “Quaresima”. Scoperto che il giovane era un consumatore - secondo l’Arma abituale - di stupefacenti, i carabinieri si sono concentrati sul suo cellulare per individuare i suoi contatti più frequenti. È spuntata l’utenza di El Zitouni, pregiudicato per reati specifici e senza fissa dimora (pur avendo famiglia). Passava la notte in giacigli occasionali, ma dava di sé un’immagine “pulita” a chi non ne conosceva i traffici illegali. Gli uomini del nucleo investigativo hanno lavorato alla vecchia maniera, attraverso numerosissimi servizi di osservazione e di pedinamento, che hanno permesso di costruire la trama fittissima di spaccio nella zona di Trento Nord, sia in strada che nelle abitazioni. Dietro la maschera di cittadino rispettabile si nascondeva un uomo che si faceva chiamare, in gergo, “padrone” dalla clientela (15 i consumatori individuati e segnalati al Commissariato del governo). Con un’attività intensa: ben 200 le cessioni documentate da metà luglio a metà ottobre. Il suo modus operandi consisteva nello smerciare piccole dosi ma con grande frequenza. Già condannato, era tornato alla sua occupazione precedente, tanto che - secondo il Gip Forlenza - viveva di spaccio.













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