«La moto era la tua passione» 

Il funerale di Walter Posch. Commovente il saluto di Linda, figlia della moglie Michela: «Mi dispiace che non ci sarai alla mia festa dei 18 anni. E non ci sarai a ripetermi i tuoi discorsi su che cosa significa diventare grandi». In tantissimi hanno affollato la chiesa parrocchiale di Caldonazzo 


Franco Zadra


Caldonazzo. «La moto era la tua passione. Quando vi salivi eri felice e ti passava anche il mal di schiena». A parlare, tra le lacrime e abbracciata dalla madre, dall’ambone della chiesa parrocchiale di Caldonazzo, è Linda, non ancora diciottenne, figlia di Michela, moglie di Walter Posch, il dipendente del Crm di Caldonazzo deceduto l’altro ieri mentre percorreva con la sua moto i tornanti della strada che collega l’Altopiano della Vigolana con il lago. Una famiglia unita, giovane, e felice, Walter, Michela, Linda, Adam, e il “piccolo”, ormai uomo, Sebastian.

Stretta attorno all’impensabile e precoce feretro di Walter, quella che resta di ciò che è stato e non ritorna, è confortata dalle parole del parroco, don Emilio, che commenta un Vangelo assolutamente attuale e non scontato, e riecheggia gli stessi «rimproveri» che furono delle sorelle di Lazzaro morto, ora nostri, di tutti, verso quel «Dio assente, proprio nel momento in cui avremmo avuto più bisogno». «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto», ha detto don Emilio citando il Vangelo. La domanda suscitata da questo evento luttuoso, improvviso e durissimo, ha attraversato la mente e i cuori delle persone assiepate nella chiesa, «che cosa, in fondo, resiste all’impatto del tempo? Che cosa rimane di tanta felicità e passione, di tanta fatica?».

«La vita è fatta di relazioni – ha detto ancora il parroco -, e quelle relazioni portano in sé una promessa di durata infinita, di continuità che la morte sembra smascherare, deludere in modo definitivo. E ci chiediamo, a che cosa serve? Perché darci pena per compiere il bene? Se poi tutto finisce così?». Tante domande, per farsi altre domande, che trovano risposta appunto nel continuare a farsi domande, a rinunciare a una risposta definitiva, sepolta nella terra scura della nostra delusione, che trancia in modo netto ogni altra possibile domanda.

«Mi dispiace soprattutto – ha detto ancora Linda – che non ci sarai alla mia festa dei diciott’anni, e non ci sarai a ripetermi i tuoi discorsi su che cosa significa diventare grandi, le responsabilità, ecc., che ora già sento mi mancheranno terribilmente». «Non ti ho detto che se credi vedrai la Gloria di Dio?», ha detto ancora don Emilio nell’omelia riprendendo le parole di Gesù alla sorella di Lazzaro. Walter era lì al centro, nel feretro fiorito, e quelle parole lambivano la superficie laccata del legno della bara. La fede, certo, la messa, il catechismo, i preti, la chiesa, tutte cose che dimentichiamo spesso nel turbinio dei giorni, ma che il fatto di Walter ha riportato al centro dell’esistenza di moltissimi amici e conoscenti sbigottiti, facendo della questione «Cristo, sì o no?», per un momento almeno, l’opzione fondamentale, più importante di qualsiasi altra. Non saranno state le parole di don Emilio, «se la nostra prospettiva si esaurisce con la morte, la vita non ha senso», ma qualche cosa è intervenuto che ha risollevato i cuori, alleggerendo ciò che sembrava impossibile da superare. I tanti nomi di «uomini, i nostri uomini, che ora vegliano sulla nostra famiglia» elencati da Linda nella sua bellissima lettera di saluto a Walter, corrispondono ora ciascuno a un viso disteso, un abbraccio, un sorriso ritrovato pur nella mestizia del momento, una speranza rinnovata, un impossibile che si fa storia che continua. «Amici miei, venite qui, cantate insieme a me...» è il canto che sale al cielo finita la messa, sul sagrato. Un cielo che non sa ancora se piovere.













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