Gerardo sognava i campi ma è il signore della pasta 

Il personaggio. Nato a Daré, e ora da pensionato di nuovo a casa, Dalbon si è laureato a Milano in tecnologie alimentari ed è diventato responsabile della qualità di produzione della De Cecco


Giorgio Dal Bosco


Darè. Da giovane Gerardo Dalbon, adesso settantenne, avrebbe voluto fare il contadino, standosene rintanato per tutta la vita nella sua Rendena, neanche a Tione o a Pinzolo, ma proprio a Darè - duecento anime -, dove è nato. Invece, figlio del titolare di un negozio di alimentari, dopo il diploma di San Michele all'Adige e la laurea in tecnologia alimentare a Milano (grazie alla zia milanese Eugenia, oggi 99 anni), nel 1994 è finito in Abruzzo a fare il “direttore tecnologico e ricerca sul processo di produzione della pasta”. Tradotto in soldoni: il responsabile della qualità della pasta che esce dalle linee di produzione. Inutile nascondersi dietro il dito, è al vertice della qualità della famosissima De Cecco che, di pasta, ne produce diecimila quintali ogni giorno.

Prima ancora Gerardo lavorava a Rovereto alla Braibanti come direttore del Centro Ricerche, tra i più prestigiosi d'Europa. Nel 1994 Gerardo è sbarcato a Pescara, assunto dopo un suo intervento, evidentemente molto apprezzato, in quel pastificio.

Viene in mente l'avverbio “bandiera” della pubblicità televisiva di quella pasta: “Rigorosamente”. E Gerardo è rigorosamente trentino, un trentino tipo esportazione, uno di quelli che che si fanno apprezzare e che non vendono fumo. É asciutto nel fisico come nelle parole. Se parla e lo interrompi, si blocca subito ed ascolta. Evita i punti esclamativi, preferendovi, semmai, i puntini di sospensione. Lesina i gesti e calibra gli aggettivi. Tanto per dire, della “sua” pasta, qui nella sua splendida casa a Daré circondata da prato e vigne, da fiori e alberelli parla poco o niente, evitando “rigorosamente” di non magnificarla per non farne pubblicità. Con preferenza disquisisce dell'apporto tecnologico che ha dato a quella industria, della essicazione della pasta, del ruolo del bronzo nella trafilatura, del grano duro, dell'acqua, dell'umidità, dei processi. E anziché stufare, l'argomento si fa interessante.

Uomo semplice, tiene corsi “didattici” sulla pasta sia per il personale interno che in occasione di show cooking in coppia anche con cuochi stellati. Professionalmente si definisce un tecnico che affina la pratica. Meglio: conosce la realtà produttiva che migliora con la scienza. Con l'aiuto di un informatico, cui Gerardo ha spiegato le problematiche produttive, ogni piccola incertezza nel processo produttivo viene segnalata e riparata. Un giorno il presidente dell'industria gli pose una mano sulla spalla e gli ricordò un “ma” chiaro e tondo: «Ogni imperfezione deve essere riparata, mai, però, modificare il metodo».

Che sia uno dei massimi responsabili dell'azienda nella produzione di una pasta famosa nel mondo, si è saputo soltanto da una pagina intera, pagata di tasca sua, sul Corriere della Sera di domenica scorsa. Una ventina di righe in tutto e una foto con cui sventola un mazzo di spaghetti. Tra le altre pochissime cose si legge: «Dicono che sia una grande fortuna per un uomo fare per tutta la vita un lavoro che piace. Io posso dire allora di essere fortunato. Ora che la mia vita lavorativa è al termine, voglio ringraziare De Cecco e i miei validi collaboratori. Sono stati anni bellissimi, passati insieme... sempre circondati dal profumo del grano...».

Con tanti “se” e tanti “ma” Gerardo Dalbon lascia intendere che vorrebbe andare in pensione, anche se il datore di lavoro pare non volersi privare di questo vate della pasta alimentare. D'altra parte lui stesso, qui a casa a Daré vestito da vendemmiatore (ottimo il suo vino bianco), ha una splendida iperbole: «Io? Io non ho mai lavorato. Mi sono soltanto divertito a lavorare».

Trentino, si diceva di Gerardo. Per tante ragioni. Perché ama farsi il vino, salami, marmellate. Ricorda con nostalgia più di dieci anni passati nel coro della Sat, i suoi coristi, il maestro e direttore Silvio Pedrotti, Livio Ober allora presidente, le sue vignette, i concerti in giro per il mondo. Ha cantato anche nel coro Carrè Alto. Quando può – e lo fa tutte le settimane – torna a casa a cucinare, anche e soprattutto, per gli amici. Di più: il suo sogno da pensionato (pardòn, da uomo che ha smesso di divertirsi) è di trasformare casa sua in un “covo di gourmet” cui un paio di volte alla settimana poter cucinare pietanze ricercate soprattutto con prodotti di alta qualità (non per nulla è laureato in tecnologia alimentare). Non lo farebbe e non lo farà per guadagno ma per il gusto del convivio a tavola. Un coro con gli amici, una sciata, una pedalata, una cena, chiacchiere attorno alla fratina di casa. Ma lì a Darè, accanto al Brenta. Forse, così, gli sembrerà di tornare bambino quando sognava di fare il contadino in Rendena.













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