il caso

Aumenti alle badanti: un salasso per molte famiglie

Gli adeguamenti salariali garantiti dal contratto nazionale rischiano di pesare sulle tasche dei più fragili. Ecco i numeri del Trentino


Ilaria Puccini


TRENTO. Da una parte c'è la necessità di adeguare i salari di chi lavora per permettergli di fronteggiare l'aumento del costo della vita.

Dall'altra, c'è la ricaduta sulle famiglie alle prese con lo stesso problema e che non possono fare a meno di un servizio di assistenza essenziale. L'aumento salariale per i lavoratori domestici - colf, badanti e baby sitter- è ufficialmente scattato con decorrenza a partire da gennaio 2023.

Un diritto garantito dalla contrattazione collettiva che però, a meno di un intervento della politica, rischia di ricadere sulle tasche dei più fragili. Fino allo scorso 16 gennaio, i rappresentanti dei familiari bisognosi di assistenza e i sindacati avevano tentato di trovare un accordo: i primi chiedevano un aumento graduale a partire dal mese di marzo, mentre le sigle sottolineavano come questa dilazione avrebbe significato lavorare in deroga alle condizioni previste per quasi un milione di assistenti familiari in Italia.

Quelli regolari. «La notevole variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, su cui è stato calcolato l’aumento delle paghe, potrebbe essere stata uno dei fattori che ha complicato le trattative» osserva Sonia Perottoni, consulente fiscale del Caaf-Cgil di Trento. Tale indice, in breve Foi, è un parametro con cui l’Istat rileva il costo della vita: l’anno scorso, nella data di riferimento del 30 novembre, segnava ben il +11,5%. Le retribuzioni minime dei lavoratori domestici vengono adeguate per l’80% di questa cifra, dunque al +9,25%, mentre i costi di vitto e alloggio per chi segue i propri assistiti in maniera continuativa sono adeguati al 100%, dunque con il +11,5% a carico delle famiglie.

Una differenza che, a seconda dei casi, potrebbe significare anche oltre cento euro mensili in più. «A fronte di un costo così alto per le famiglie, c'è il rischio di incentivare il lavoro sommerso - nota Perottoni - una situazione da cui usciremmo tutti sconfitti». Il lavoro domestico soffre già di un’ampia sacca di irregolarità.

Secondo l’Inps il 52,3%, dunque più di uno su due, lavora in nero. Non fa eccezione il Trentino, dove i lavoratori domestici al 2021 erano circa 14mila, ma l’osservatorio Domina ne stima il numero totale in 26 mila. Con i costi, cresce il rischio che le famiglie decidano di tagliare le spese rinunciando per prime a garanzie, legalità e sicurezza. «In Trentino abbiamo un registro provinciale degli assistenti domestici - spiega Perottoni - penso che progetti come questo, che favoriscono la trasparenza e permettono alle famiglie di avere un approdo sicuro quando sono in difficoltà, vadano incentivati». Il problema richiede una soluzione urgente, perché le cifre degli anziani bisognosi di cure sono in rapida crescita: in provincia, sono già 113 mila (di cui 18 mila non autosufficienti) ed entro il 2050 si stima che una persona su tre sarà over 65.

Solo allo sportello Caaf-Cgil, ogni anno, dalle 300 alle 400 persone chiedono assistenza, «anche se le situazioni sono fortemente variabili - sottolinea Perottoni - alcune richieste di contratto sono per periodi limitati, in cui i familiari non riescono a seguire i propri cari in autonomia; altre volte i contratti vengono interrotti perché queste persone sono inserite in struttura». Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le famiglie preferirebbero l'assistenza domestica: «Sicuramente sarà più onerosa, ma sarà compito degli enti pubblici intervenire su questo problema a livello strutturale con degli aiuti ben mirati» conclude Perottoni.













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