Variante centri storici, scontro duro 

Toffolon: «Altro che conservazione, qui si può demolire il 34% degli edifici». Betta: «Solita macchina del fango»


di Leonardo Omezzolli


ARCO. La variante ai centri storici continua a infiammare il dibattito. Lo ha fatto un anno fa quando la stessa saltò sul mancato numero legale di consiglieri per l’approvazione della seconda e definitiva adozione e lo fa tutt’oggi quando la medesima, rivista e corretta, si appresta a rifare il medesimo passaggio consigliare per la seconda e, forse, definitiva adozione. Lo scontro si è avuto durante la serata di venerdì sera al Cantiere 26 tra gli ambientalisti, organizzatori dell’incontro pubblico, il sindaco Alessandro Betta, presente alla serata e l’imprenditore Eleuterio Arcese spesso tirato in ballo in termini urbanistici per le volumetrie “lievitate” della propria abitazione Villa Miravalle.

La serata si è quindi aperta con il dato chiave, portato in luce dagli ambientalisti, che hanno spulciato, controllato e confrontato le centinaia di schede dei centri storici: il 34% degli edifici sono inseriti nella categoria urbanistica con possibilità di demolizione e ricostruzione. L’accusa è quella di aver creato una variante che invece di prediligere la tutela e la conservazione, guarda verso «l’arroganza dei moderni». «I centri storici - ha spiegato il relatore Beppo Toffolon - sono un’opera collettiva metastorica che dura da secoli. Noi - ha poi sottolineato - siamo i primi che ne vogliono fare tabula rasa. Il caso più eclatante di questa visione - ha precisato l’architetto - è stato quello dell’ex Argentina». Dal complesso Olivenheim a Villa Miravalle il passo è stato breve. Si è quindi messo in mostra come la variante classifichi la villa dell’imprenditore arcense in categoria “R3 - ristrutturazione” per la quale è quindi possibile un ulteriore ampliamento del 20% della superficie utile. «Perché - si chiedono gli ambientalisti - questo trattamento?». Inevitabile l’intervento di Arcese che ha voluto, davanti a tutti, dare la propria visione delle cose: «Ad Arco esiste solo Arcese? Perché questo accanimento? Ho ristrutturato quello che era un cadavere, ho comprato 10.000 metri di terreno e ho provveduto a mie spese a bonificare tutta l’area e la montagna. Con la mia azienda - ha insistito Arcese - in 10 anni ho pagato 200 milioni di tasse, dato lavoro a oltre 3 mila persone. Voglio bene ad Arco e ci tengo a questa città. Non faccio scempi». Betta ha quindi voluto rispondere agli organizzatori. «Il messaggio che fate passare è che ad Arco tutto va male e che vogliamo distruggere tutto. I commenti emersi sono ingenerosi - spiega Betta -. Le schede erano datate, avevano più di 20 anni e andavano rifatte secondo le nuove norme. L’impostazione di questa serata è quella di una macchina del fango. Conservare tutto - ha poi concluso - non ha senso soprattutto quando non si hanno le risorse per poterlo fare».













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