La storia

Il soldato John che era Giovanni, e prima ancora Hans

Vite vissute. La storia di John Lewis Kay, nato come Hans Ludwig Kaumheimer nel 1919 a Stoccarda in una famiglia ebrea, cresciuto  a Merano nell’Italia fascista, costretto a scappare in America per le leggi razziali, e tornato in Italia (e a Merano) per cacciare i nazi-fascisti


Luca Fregona


Merano. Nasci Hans. Poi diventi Giovanni. E poi Johnny. Tre nomi diversi per salvarti la vita. Rampollo di una ricca famiglia di origine ebraica in Germania (Hans). Adolescente rifugiato a Merano (Giovanni). E poi ufficiale dell’Esercito americano che chiede di sbarcare in Italia per liberare il Paese che, nonostante lo avesse tradito, non aveva mai smesso di amare (Johnny). Questa è la storia di John Lewis Kay, morto a San Francisco il 14 settembre 2015 a 96 anni. L’ha ripercorsa a Merano il figlio Robert, arrivato dagli Stati Uniti per vedere i luoghi in cui il padre era cresciuto, da cui era stato cacciato, e dov’era ritornato per regolare i conti con i nazi. I suoi appunti diventeranno un libro.

Germania Anni Venti

Hans Ludwig Kaumheimer nasce a Monaco di Baviera il 13 settembre 1919. È il secondo di quattro figli di una ricca famiglia ebrea. Il fratello maggiore si chiama Fritz, i due gemelli più piccoli, Margaret e Ruth. Il nonno materno, Louis Landauer, è stato uno dei fondatori della “Brüder Landauer”, una catena di grandi magazzini con negozi a Stoccarda, Mannheim, Colonia, Heilbronn, Reutlingen, Augsburg e Francoforte. L’infanzia è dorata. I piccoli Kaumheimer vivono in una lussuosa villa a Stoccarda. Hanno la tata, l’autista, e persino un allenatore di boxe. Hans è un bimbo paffuto e solare, frequenta con profitto la scuola. Nell’orribile 1933, quando Hitler sale al potere, si è appena iscritto al liceo. I genitori hanno già intuito la natura malvagia del nazismo. La carica distruttiva che spira come un vento di morte su tutta la Germania. Nel 1934 decidono di vendere i negozi e trasferirsi a Merano, dove molti ebrei tedeschi si erano già spostati per affinità linguistiche (era stata pur sempre la città termale dell’impero austroungarico), convinti che il regime di Mussolini non li avrebbe mai traditi.

Merano 1934

Hans Kaumheimer diventa così Giovanni Kaumheimer. Frequenta le superiori, viene inquadrato nelle organizzazioni giovanili del partito fascista e impara svelto la lingua. Gli piace Merano, gli piace l’Italia. È un appassionato di opera lirica, ama i vini e la pasta, la cultura italiana, adora sciare. S’integra senza problemi. Non è più un bimbo paffutello, ma un ragazzo sportivo, forte che sta bene lontano dalla Germania delle camicie brune. Abitano in una bella casa immersa nei ciliegi di via Verdi. L’Italia però si rivela un rifugio precario. Mussolini nel 1938 promulga le famigerate leggi razziali. Gli ebrei vengono espulsi dalle professioni e dalle scuole. I Kaumheimer, che avevano visto le stesse identiche cose in Germania, non si illudono. L’onda antisemita li sommergerà anche qui. Nel 1938 si apre uno spiraglio nella porta della salvezza. Carl Laemmle, il fondatore degli Universal Studios, amico di famiglia, rilascia al dipartimento dell’immigrazione Usa una dichiarazione giurata per l'ingresso dei Kaumheimer (insieme ad altre trecento famiglie). Sbarcano a New York nel 1939 e si stabiliscono a San Francisco.

San Francisco 1939

Hans/Giovanni adesso diventa Johnny. I genitori vogliono chiudere con il passato, con la Germania nazista, l’Italia fascista e l’Europa menefreghista. Cambiano il cognome in Kay. Johnny “John” Kay, 20 anni appena compiuti, seppellisce Hans e Giovanni, e si iscrive all'università, al San Francisco Junior College dove segue un corso per la gestione di alberghi e ristoranti. Deve ricominciare daccapo. Imparare una nuova lingua, inserirsi in una società che non conosce. Gli inizi sono duri. Al college stringe amicizia con Henri “Hank” Carbonell, figlio di immigrati catalani. Hank, che è cresciuto negli States, capisce le difficoltà di Johnny e lo aiuta. Johnny trascorre le estati del 1940 e del 1941 lavorando nei vagoni ristorante della Santa Fe Railroad e come impiegato d'albergo. La storia corre veloce e non gli lascia respiro. L’America sa che la guerra che divora mezzo pianeta prima o poi le entrerà in casa. John, sebbene ancora classificato come “straniero tedesco”, viene arruolato nell'esercito il 26 settembre 1941.

La guerra

7 dicembre 1941, Pearl Harbor. 5 giugno 1942, John Kay viene naturalizzato cittadino americano. Frequenta il corso ufficiali e nel gennaio del 1943 chiede di entrare nei servizi di Intelligence che stanno preparando lo sbarco in Europa, spiegando nella domanda che la sua “familiarità con i costumi e le tradizioni della Germania e dell'Italia dovrebbe essere di grande valore al ministero della guerra”. Sottolinea che preferirebbe l’Italia per aiutare gli italiani a spazzare via il duce. Viene assegnato alla sezione “italiana” che sta preparando lo sbarco in Algeria e in Sicilia. Il suo è un ruolo molto particolare. È un ufficiale addetto agli “affari civili”: nelle zone di combattimento e in quelle liberate dovrà occuparsi della logistica, dei rapporti con la popolazione, in modo da salvare vite innocenti.

Salerno, Anzio, mille vite salvate

La guerra di Johnny Kay nello Stivale inizia il 9 settembre 1943, con lo sbarco di Salerno aggregato alla 56a divisione di fanteria britannica. Partecipa alla liberazione di Napoli. A seguire, è con i marines ad Anzio il 22 gennaio 1944 con l’obiettivo di prendere Roma. I tedeschi oppongono una durissima resistenza sulla linea Gustav. Gli americani avanzano a fatica con perdite altissime. Il tenente Kay si occupa della gestione ed evacuazione dei civili sulla testa di ponte.

2 marzo 1944, Torre del Padiglione, frazione di Aprilia. Kay ha l’ordine di salvare gli oltre mille abitanti, rimasti bloccati sulla linea del fronte “come una fetta di prosciutto in mezzo a un sandwich”, tra le forze tedesche e americane. Kay supera a piedi un campo minato, attraversa fossati e campagne sotto il martellamento dell’artiglieria nazi. Raggiunge il paese, organizza l’evacuazione, ordina gli abitanti in colonna, prende una bambina in braccio e li guida fuori dall’inferno.

La stella di bronzo di Clark

Per questa azione viene decorato con una stella di bronzo dal generale Mark Clark, comandante generale della 5a armata in Italia, e promosso capitano.

La citazione è da brividi: “Apprendendo che i civili si trovavano in prossimità delle linee nemiche e in grave pericolo, il primo tenente Kay, a rischio imminente della sua vita, si diresse a piedi verso il villaggio attraverso l'artiglieria pesante e fuoco di mortaio. Dopo aver attraversato un vasto campo pesantemente minato, raggiunse il villaggio e assunse il comando dei civili disorganizzati e demoralizzati. Esercitando iniziativa e lungimiranza, il Primo Tenente KAY formulò un piano per l'evacuazione. Il coraggio intrepido e le azioni efficienti del primo tenente KAY hanno portato alla evacuazione sicura di più di mille persone...”.

Fino a maggio, John Kay combatte, assiste e sopravvive alla macelleria della battaglia di Montecassino, un ricordo che lo tormenterà per sempre.

Lo “sceriffo” Kay

I Marines liberano Roma e poi aggrediscono l’Appennino tosco-emiliano. John continua il suo ruolo di collegamento con la popolazione. È un compito delicato, a volte paragonabile a quello di uno sceriffo. In paesi e città deve risolvere controversie, garantire l’ordine pubblico, punire chi commette reati, trattare con i partigiani, interrogare i prigionieri per avere informazioni. Ma anche indagare e reprimere eventuali reati o illeciti commessi dalle truppe americane.

9 maggio 1945, Merano

I suoi dettagliati rapporti seguono tutta il percorso della liberazione dell’Italia. Nell’aprile 1945 è a Verona. Il 9 maggio a Merano, dove aveva trascorso gli anni più belli della sua vita. Merano, la città che lo aveva accolto e poi tradito. Qualcuno gli racconta cosa è successo l’8 settembre 1943, quando in riva al Passirio si è scatenata la “caccia all’ebreo”, con parte della popolazione locale che andava a stanare le famiglie a fucilate, consegnandole ai tedeschi, per poi entrare nelle case e rubare ogni cosa. Un amico gli dice: «Giovanni, gran parte degli ebrei che conoscevi è stata portata via dai tedeschi tra la gente che applaudiva e li insultava». Il capitano John Key ha 24 anni ma se ne sente addosso il triplo. Ripercorre le strade della sua adolescenza con una sensazione di rabbia cieca, dolore, rancore e nostalgia. Cerca la sua vecchia casa in via Verdi. In una lettera ai genitori Julius e Selma scrive: «Ho visto il nostro vecchio padrone di casa e la nostra vecchia villa. Il ciliegio nel nostro cortile era pieno di ciliegie. La mia vecchia insegnante, la signora Lubatti, era lì e anche l'insegnante di stenografia, che aveva perso un braccio. La città non è stata danneggiata ma è piena di soldati tedeschi e questo ha rovinato tutto».

Fottuti nazisti. Mi avete cacciato e ora sono tornato. Vi abbiamo estirpato come un cancro maligno.

Nella sua relazione datata 9 maggio 1945 scrive: «A Merano ho trovato una città in completo controllo tedesco. Il sindaco ha paura di prendere ordini senza prima consultare il Platzkommandant tedesco. Situazione alimentare buona, paese integro, ma circa 15.000 soldati tedeschi residenti all'interno del Comune. Ho dovuto richiedere l'autorizzazione per occupare la villetta dal quartier generale tedesco. Conferenza con il Gen. Ruffner, 10th Mt. Army, e il nemico CG Seuffert, con conseguente proibizione alle truppe nemiche di guidare i tram, mangiare cibo nei ristoranti, comprare generi alimentari da civili, acquistare qualsiasi altro oggetto dai civili; ho messo a disposizione del Comune quindici veicoli tedeschi più autisti in qualsiasi momento. Proibito al Platzkommandant di trattare direttamente con l’amministrazione civile».

Dopo la guerra, il capitano Kay rifiuta un'offerta del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Il 15 febbraio si congeda con il grado di maggiore e torna in California. Nel 1949 sposa Carla Magnus, emigrata ebrea tedesca con la famiglia sterminata nei lager. John riprende la sua attività nel settore alberghiero, mette a frutto le lingue e fa fortuna con una società di importazione di generi alimentari. Italia in testa. Racconta il figlio Robert: «Mio padre non ha mai parlato molto della guerra; quando gli facevi una domanda, cambiava argomento. Non amava i film di guerra e qualsiasi tipo di glorificazione della guerra o della violenza. Se in tv davano un documentario su Anzio o Montecassino, lo guardava per qualche minuto e poi cambiava canale. Diceva che gli avrebbe fatto venire gli incubi». Durante un viaggio in Italia in auto con il suo secondo figlio, Richard, passarono sotto il monastero di Montecassino, che era chiaramente visibile in lontananza dal lato passeggero. «Si rifiutò di voltare la testa per non dare spazio ai ricordi e ai volti dei morti che lo perseguitavano».

Hank

John L. Kay è morto il 14 settembre 2015, un giorno dopo il suo 96esimo compleanno. Due anni prima, frugando tra i suoi fascicoli, aveva tirato fuori una lettera affrancata, “rispedita al mittente, destinatario deceduto”.

Era una lettera che aveva scritto al suo migliore amico, Hank Carbonell, il cui aereo da combattimento P40 si schiantò dopo un guasto meccanico, a Curacao nel 1943. John era un uomo che non piangeva quasi mai.

Quella volta pianse..













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