Se ne va con la figlia mamma condannata

Dopo la separazione non aveva rispettato i provvedimenti del giudice previsti dall’affido condiviso: fissata una provvisionale da 5 mila euro



TRENTO. Dopo la separazione la mamma si trasferisce in Sicilia con la bambina e viene condannata sia dal tribunale di Trento che dalla corte d’appello. Il «reato» è quello di aver disatteso «consapevolmente e sistematicamente tutti i provvedimenti giudiziali sottraendo di fatto la figlia alla potestà paterna». La condanna è stata a 4 mesi (sospesa e non menzione e al risarcimento del danno a favore del padre fissando una provvisionale a 5 mila euro.

La storia è particolare e delicata perché al centro c’è una bambina ancora piccola che suo malgrado si trova ad essere al centro di una vicenda giudiziale nella quale, per i magistrati, è parte lesa. Tutto ha inizio quando i genitori si separano. Il presidente del Tribunale di Trento stabilisce l’affido condiviso e decide di «collocare» la piccola nella casa della madre (in una valle trentina) regolamentando i periodi di affido al padre. La donna è siciliana ed è lo stesso presidente che, nella separazione, prevede che possa andare in Sicilia una volta alla settimana. Con un po’ di elasticità. Ci sarebbero state - ha sostenuto nel giudizio il padre - delle violazioni a questi accordi fino ad arrivare al definitivo trasferimento della madre e della figlia nell’isola. Tutto questo senza avere il via libera del tribunale - necessario in questi casi - che è arrivato solo due anni dopo. E che ha modificato le condizioni della separazione disciplinando diversamente il diritto di visita del padre.

Al centro della vicenda c’è il periodo precedente a questa modifica. In primo grado c’era stata la condanna della madre che di fatto aveva ignorato i provvedimenti definiti in fase di separazione. E anche per l’appello la sostanza è la stessa. «Va rilevato - viene scritto nella sentenza che risale alla primavera scorsa - che l'interesse tutelato da quei provvedimenti giudiziali che si assumono violati, deve essere ravvisato, in primo luogo, e soprattutto, in quello della minore che, considerata la tenerissima età, era certamente quello di vivere con la madre ma, altrettanto cogente e rilevante, quello di godere abitualmente e con continuità della presenza del padre, cui, peraltro, la minore risulta congiuntamente affidata. Non, quindi, l'imposizione "coatta" di una residenza alla madre, ma il perseguimento dell'interesse di una bambina che, allontanata per lunghi periodi dalla figura paterna, ben può patire effetti irreversibili nel rapporto con il genitore». I giudici sottolineano anche come la madre «si è limitata a disattendere i provvedimenti, inizialmente violando le disposizioni presidenziali sul diritto di visita del padre e successivamente, di fatto, trasferendosi, senza fare ritorno e senza preoccuparsi neppure di cercare un accordo con il coniuge al fine di ottemperare alle statuizioni giudiziali».

Da qui la conferma di quanto deciso in primo grado.

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