Rover e Ischiazza paesi ormai fantasma

In val di Fiemme e di Cembra l’Avisio distrusse famiglie e case


di Paolo Tessadri


TRENTO. I paesi fantasma dell’alluvione del 1966. All’inizio fu un’autunnale pioggerellina che inumidì il selciato della strada, coperta dall’ombrello dei rami degli alberi: era l’inizio di novembre del 1966. Un giorno di novembre come tanti, a quasi 900 metri di altezza, a Rover di Capriana, in Valle di Fiemme, quando l’autunno anticipa l’inverno. Le cime erano innevate. A Ognissanti la pioggia si fece più intensa, il giorno dei Morti i masi erano sotto violenti acquazzoni, mentre un forte vento piegava e spezzava gli alberi. E dopo il freddo, era arrivata un’insolita corrente d’aria calda, mentre le stufe erano accese da tempo. Scrosci d’acqua si abbatterono sui tetti di quella ventina di case, appesi a un pendio sulla sponda destra dell’Avisio. Il sentiero da Rover al fiume era diventato un torrente di melma. La pioggia non smetteva dalla festa dei morti. L’unico telefono pubblico, appeso all’esterno di un maso, aveva smesso di funzionare, le linee telefoniche interrotte in tutta la valle.

I morti di Rover. Il 4 novembre, prima delle sette di sera, la famiglia Daves, quattro persone, stavano cenando e chiacchierando attorno al tavolo, in cucina. Da due giorni non smetteva di piovere copiosamente. Poi, improvviso un rumore assordante, un boato e la collina veniva giù, travolgendo la casa in mezzo alla fila di costruzioni, allineate all’inizio di Rover.

La casa dei Daves. In tre finirono sotto le macerie, Mario, 18enne, si ritrovò scaraventato sopra i calcinacci e si salvò. L’unico della famiglia. Ora ci sono solo mozziconi di mura e sulle macerie sono cresciuti gli alberi. Ma anche le altre case della fila sono prive di vita: tutte abbandonate. Poco dopo quel 4 novembre di 50 anni fa, a tutte le famiglie fu ordinato di evacuare. Erano poco più di 15 famiglie e 50 abitanti. Rover morì quel giorno e non risorse più come prima. Solo all’inizio del paese un vecchio maso è stato completamente ristrutturato, è l’unico con il tetto nuovo e le mura imbiancate. Il filo dei ricordi, però, non fu mai tagliato. Prima con Angelo, poi con Dante Simonazzi e la moglie. Ora con Dora, 77 anni, e con la nipote, che ogni giorno va alla fontana con i secchi a rifornirsi di acqua. «Non c’è posto più bello, non c’è confusione, c’è pace, io e la nonna rimaniamo qui anche l’inverno», parla mentre cammina con un secchio d’acqua che stringe nella mano. Quasi eremiti, insieme a quattro asini e qualche gallina. Dora qui sta bene e si vede,«non torniamo quasi mai a Cavalese dove abbiamo un appartamento». L’orto, in questo periodo, non dà più verdura, ma le dalie crescono orgogliose ai bordi dell’orto. Gli alberi da frutto sono piante lasciate ad invecchiare, senza trattamenti.

Dora è la matrona di Rover. Ogni anno, il 29 luglio, alla festa di S. Anna, si ritrovano i 6-7 superstiti e un centinaio di altri amici per festeggiare tra quei masi. È lei, Dora, ad accogliere tutti e a ricordare che lì c’era vita. E quel giorno, per qualche ora, Rover rinasce.

Ischiazza e Maso: la vita se n’è andata per sempre. Anche il più piccolo barlume di vita si è spento nei masi di fronte a Rover, sull’altra sponda dell’Avisio, nel comune di Valfloriana, dove Valle di Fiemme e Valle di Cembra si confondono fra alberi, valli e case. L’immagine scattata da Flavio Faganello, a pochi giorni dall’alluvione, fotografa la morte di Ischiazza, ridotta oggi a scheletri bombardati dal tempo, mentre lo scrittore Aldo Gorfer cercò di catturare con la penna le sofferenze della gente. Faganello e Gorfer: l’accoppiata che riportò ai trentini pezzi importanti di storia e memoria. Il 20 novembre 1966 gli scampati percorrevano in corteo la mulattiera portando a braccia il Cristo, prima issato sopra l’altare della piccola chiesa. L’epilogo dopo secoli di vita. Un paio di settimane prima, il 4 novembre, un’ora prima di mezzanotte, nel buio pesto della notte, una massa di acqua dalla diga di Stramentizzo, portando con sé massi e tronchi, si impossessò di Ischiazza. La invase. L’abitato era disteso su un pianoro, proprio sotto la diga, a una decina di metri dal fiume Avisio, a un altezza di due, forse tre metri dal corso d’acqua. Inevitabile la morte. Le case oggi sono preda della vegetazione, mentre la chiesetta conserva i segni del passato.

Lungo la mulattiera, su un fianco ci sono i resti del vecchio forno del pane. A Ischiazza c’era anche una scuola. Analoga sorte per Maso, sulla strada per Trento, sempre in Valfloriana. Ischiazza e Maso ebbero risalto sui giornali perché si interessò della sorte l’allora presidente del consiglio Aldo Moro, in visita in valle. Davanti a Moro, quel giorno, si alzò la voce della maestra Elisa Denardi: «Ci sono altre persone che si trovano in queste situazione, sono gli abitanti di Maso», e Moro si avvicinò alla donna, che proseguì, «sono circa una trentina di persone tra le quali tra le quali molti vecchi e inabili al lavoro. Non vogliono andarsene dalle loro case divenute ormai pericolanti. Sono completamente isolate poiché ove una volta passava la strada ora c’è un torrente. Hanno pochi viveri solo due uomini sono in grado di lavorare», ricorda il colloquio lo scrittore Alberto Folgheraiter nel libro “I villaggi dai comini spenti”. A Ischiazza e Maso non hanno più acceso i camini.

Ricostruire senza porcate.Meno di due anni dopo l’alluvione, il 16 giugno 1968, fu inaugurato il Villaggio Svizzero, che purtroppo ora ha solo l’insegna stradale di Villaggio. Costruito con le offerte della Croce Rossa Elvetica e della Regione del Trentino Alto Adige. Qualche giorno fa a Matteo Renzi, in visita agli abitanti dell’ultimo terremoto, un anziano signore gli disse: fate presto a ricostruire e non si facciamo le solite porcate. Nell’alluvione del ’66 il Trentino e i trentini dimostrarono che si poteva ricostruire presto e senza porcate. Oggi Rover, Ischiazza e Maso sono mèta di curiosi dei villaggi fantasma. Ma la storia non è uno spettro.













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