la protesta

Rabbia artigiana: «Politica lenta, non c’è più tempo»

Dall’inizio della crisi perse 300 aziende e 1600 posti di lavoro nell’edilizia De Laurentis: «Appalti, i dirigenti pubblici sono i nostri primi nemici»


di Chiara Bert


TRENTO. Una politica lenta che non decide. Burocrati pubblici che, per non rischiare, remano contro le piccole imprese. Investimenti in certificazioni che non pagano nulla nei bandi di gara. Sono i motivi per cui le imprese artigiane scendono in piazza, o meglio, in teatro. Questa mattina, insieme a Confesercenti e Unione Commercio, la protesta va in scena al Sociale. «Adesso basta», lo slogan dell’iniziativa. Il messaggio è alla Provincia, colpevole di non fare abbastanza, di non difendere le piccole aziende, di avvantaggiare le grandi tutelate dai sindacati. «Senza artigianato muore anche il Trentino», avverte il presidente dell’Associazione artigiani Roberto De Laurentis. Dal 2009 il settore ha perso 300 aziende, da 10.250 associate alle 9.950 attuali, e 600 dipendenti. Poi il buco nero dell’edilizia: meno 1600 posti sugli 8000 pre-crisi.

Presidente De Laurentis, la Provincia ha appena approvato una manovra da 100 milioni di investimenti. Cosa non va?

I 67 milioni per la banda larga andranno alla Telecom, un’azienda con 35 miliardi di debiti, le ricadute sul territorio saranno zero. Se il player fosse stato un altro, per esempio Brennercom, avrebbero lavorato le aziende locali. Qui sono altre risorse che vanno altrove.

E i 37 milioni per l’edilizia scolastica?

Si riferiscono allo spostamento delle due scuole professionali all’interno del polo Meccatronica.

Veramente 25 milioni andranno ai Comuni per piccoli e medi interventi.

La verità è che non c’è difesa per le aziende del territorio. Chi ha certificazioni, conoscenze e formazione oggi non sa cosa farsene perché non entrano nei bandi di gara. Una qualunque azienda da Ceglie Messapica può venire qui a lavorare con la vaccinazione del proprio cane e compete con aziende che hanno messo soldi e risorse per la formazione.

Sugli appalti la Provincia risponde che il discrimine sono le regole della concorrenza. Cosa contestate?

Le posso citare tutti i Paesi dove lavora la mia azienda, Germania, Lituania, Romania, Ungheria, Belgio, Olanda: difendono le loro imprese perché chi ha competenze ottiene punti in più. Se uno mi fa fare i corsi sulla sostenibilità, la certificazione Arca per il legno, le aziende pagano e sostengono un esame, ma poi in tre anni non esce un solo bando pubblico con queste caratteristiche, a cosa mi sono serviti quei corsi? Altro esempio, il frazionamento per lotti. Se devo fare due piste ciclabili da 3,8 milioni, se sono intelligente faccio due appalti sotto i 2 milioni che possono sottostare alle nuove regole approvate dalla Provincia. Invece no, se ne fa uno solo.

Di chi è la responsabilità?

C’è una classe burocratica che si guarda bene dall’applicare le norme messe in legge dalla Provincia tre anni fa e per non avere problemi nelle gare preferisce applicare la legge nazionale. Questa è la burocrazia contro cui ci scagliamo che a differenza della classe politica rimane al suo posto ed è il primo nemico delle imprese.

La riforma della dirigenza pubblica è in cantiere. Non va nella direzione giusta?

I tempi dell’economia oggi sono tali per cui se aspetto un anno, rischio di non esserci più. Il ritornello è “abbiamo finito i soldi” e poi il bilancio della Provincia è sempre di 4 miliardi e mezzo. Allora vuol dire che non li hai finiti ma hai dei costi tali per le strutture e sempre meno spazio per gli investimenti. E poi si dice: l’edilizia ha finito. Io sono d’accordo che il territorio va salvaguardato, ma allora perché le tanto civili Austria e Germania mettono miliardi per riqualificare e ripartire con l’edilizia?

Non è la direzione della riforma urbanistica Daldoss?

Adesso vogliamo fatti. Le imprese non hanno più tempo di aspettare. La politica decida. Sull’orso sono bravissimi, sul resto no. C’è una politica lentissima e un presidente espresso da un azionista di minoranza. Non si vedono iniziative che mettano l’impresa al centro dell’attenzione. Anzi, c’è sempre qualcuno che ci guarda come gente che rubacchia e si diverte a fare il padrone, mentre c’è chi ci ha messo la vita.

I 10 milioni per il credito d’imposta dovrebbero favorire gli investimenti delle Pmi. Non è così?

È un meccanismo più utilizzabile dalle imprese medio-grandi.

Insistete che c’è ancora uno sbilanciamento sulla grande impresa. Dov’è?

Fino a quando esisterà un rapporto stretto tra il sindacato e il governo, è chiaro che le imprese privilegiate saranno quelle che hanno i sindacati,quindi tutte quelle che non sono le nostre. Da noi in Ebat, 12 mila dipendenti, solo il 9% ha in tasca la tessera del sindacato. Perché? Perché si sentono più tutelati da me che dal sindacato. Da noi sei un nome e un cognome, non un cartellino. La grande impresa fa colpo. Ma il sottoscritto ha aumentato l’occupazione di 12 persone senza piangere, senza chiedere contributi o minacciare la cassa integrazione.













Scuola & Ricerca

In primo piano