rovereto

Quei piccoli boss che sapevano anche minacciare

Scoperti episodi di estorsione ai danni di chi non pagava. Whatsapp per comunicare. E pure un servizio di vigilanza


di Luca Marognoli


ROVERETO. Piccoli “tossici”, piccoli spacciatori, persino un piccolo boss. Da loro i coetanei, incontrati a scuola, al pub o tramite amicizie comuni, si procuravano la “filzia” e la “hui”. Per averle li contattavano su Whatsapp o Messenger, per comprarle si trovavano al parco e nei locali, per farsele assieme ci si vedeva nell’appartamento di questo o di quell’amico. Non grossi quantitativi ma i classici quartini, singole dosi di marijuana - la filzia - e di hashish - la hui - accuratamente confezionati dopo essere stati acquistati all’ingrosso in loco ma anche fuori provincia. Un centinaio di grammi e una pianta alta 80 centimetri coltivata in una serra artigianale: la droga sequestrata si riduce a poca cosa. È di tutt’altro peso invece l’articolazione organizzativa, il numero di persone coinvolte nel traffico e i loro dati anagrafici: 14 minorenni su 26 denunciati, tra i quali anche un ragazzino di neppure 14 anni. Ragazzi dei primi anni delle superiori, se non degli ultimi delle medie, ma estremamente “dinamici e spregiudicati”, stando ai carabinieri di Rovereto.

Veloci e svegli, come i loro coetanei, nel gestire la clientela sui social network; attentissimi a non farsi smascherare utilizzando un gergo creato ad hoc e organizzando persino dei servizi di monitoraggio con “sentinelle” addette a verificare che - nel momento dello spaccio all’aperto - non si avvicinasse qualche divisa delle forze dell’ordine o qualche militare in borghese; smaliziati quel tanto che basta per “fare affari” con ragazzi più grandi e adulti, come i tre nordafricani con i quali era stato instaurato un rapporto di mutuo aiuto in caso di bisogno di droga e contanti; “cattivi” fino ad arrivare a comportamenti estorsivi nei confronti di chi faceva il furbo e rimaneva indietro con i pagamenti.

Non solo: al vertice del gruppo c’era anche un capo, un diciassettenne che si era saputo imporre per il suo piglio decisionale, che faceva da coordinatore, il piccolo “boss” della banda. Sotto di lui tre “luogotenenti”, persone di fiducia, anch’esse che non raggiungevano la maggiore età e che si muovevano tra compagnie di consumatori e ambienti diversi, dai parchi di Rovereto a quelli di Mori fino alle scuole della Vallagarina (eventualità ritenuta probabile seppure non provata) e alle case private. Ragazzi di buona famiglia, tranne un paio di casi provenienti da nuclei socialmente “borderline”. Ragazzi che ora rischiano di perdersi, se queste denunce - e i successivi provvedimenti per la riabilitazione - non serviranno a far loro capire che la droga (si chiami filzia o hui) non è un “gioco da ragazzi”.













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