Nuovo carcere, sovraffollato e isolato

Troppi detenuti, poco personale, operazioni rallentate. E spese di gestione altissime: ogni mese 25 mila euro di bollette


di Giuliano Lott


TRENTO. Già la posizione decentrata, in aperta periferia, fa apparire il carcere come un luogo di estremo isolamento. Il “fortino” di Spini di Gardolo ha un aspetto impenetrabile, lontano dagli sguardi dei cittadini. Il vecchio carcere di via Pilati soffriva di certo altri difetti, ma era almeno in centro città, sotto l'occhio dei trentini: l'idea che se ne trae é che fosse più trasparente, più“controllato” dal comune senso civico.

Ma indietro non si torna, tanto più dopo un investimento di oltre 112 milioni di euro, tanto è costata la struttura che doveva migliorare la vita dei detenuti rispetto alle vetuste celle del vecchio carcere. Sulla carta, sembra così. Ma basta grattare sotto l'apparente neutralità dei numeri e si scopre che il nuovo carcere soffre di sovraffollamento: ad oggi sono quasi 300 i detenuti, contro il limite massimo teorico di 240 (fissato da un preciso accordo tra Provincia e Stato), nei 18 mila metri quadrati compresi tra le robuste mura. Le celle sarebbero in teoria da due posti, ma ormai parecchie sono state arricchite di un letto a castello in modo da poter ospitare tre persone. A ciò va sommata l'endemica carenza di personale: gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 240, ma in realtà sono 176, di cui solo 138 effettivi poiché gli altri 38 sono distaccati ad altri servizi. La principale conseguenza della scarsità di organico comporta che le celle rimangano chiuse per 20 ore su 24, di più rispetto agli altri carceri italiani. Per consentire un minimo di agio in più ai detenuti, servirebbero più agenti di sorveglianza. La penuria di organico si riflette in un servizio sovente rallentato, anche l'accompagnamento per una banale visita medica o per un colloquio con l'avvocato possono richiedere ore di attesa.

A Gardolo la struttura carceraria, modernissima, gode di un efficiente impianto di videosorveglianza, ma mentre fino al 31 dicembre 2012 la cura e la manutenzione della casa circondariale era in capo alla Provincia, dal primo gennaio è passata in carico al ministero. Senza peccare di sfiducia, se per cambiare una lampadina serve il placet da Roma, immaginiamoci quanto bisogna attendere per riparare una delle preziose telecamere a circuito chiuso in avaria, o per risolvere la perdita di una tubatura nei bagni.

Il carcere di Spini, per quanto all'avanguardia, soffre di alcune pecche legate alla progettazione, di parecchio antecedente alla “spending review”: forse il presidente del consiglio Monti inorridirebbe nel sapere che ogni mese la casa circondariale paga 25 mila euro di bolletta. Sui 18 mila metri quadri del carcere trentino non c'è nemmeno un pannello fotovoltaico. Basterebbe ricoprirne i tetti per abbattere in maniera drastica gli elevatissimi costi di gestione.

Il carcere è al tempo stesso una struttura penitenziaria, dove si espia una pena definitiva, ma anche un luogo dove il detenuto dovrebbe poter cercare un riscatto per un concreto recupero sociale: scontata la pena, il condannato deve aver un'opportunità di reinserimento in società. Ciò avviene attraverso percorsi formativi, di cui si occupano diverse cooperative sociali attive all'interno del carcere: Kiné ad esempio sta digitalizzando i documenti cartacei del servizio acqua grazie al lavoro dei detenuti, Il Gabbiano impiega altri detenuti nel servizio lavanderia, Alpi e Caleidoscopio (coordinate da Consolida) si occupano dell'assemblaggio dei sacchetti di carta per raccogliere le deiezioni canine. E poi ci sono i volontari dell'Associazione Auto mutuo aiuto (Ama) e della Caritas. Ma sul versante del recupero, lo stato dell'arte non è incoraggiante. Ogni detenuto lavora in media due mesi all'anno. Poco, per poter imparare un mestiere, e anche per evitare di tornare in carcere: il condannato che consegue una qualificazione professionale ha una probabilità inferiore di incorrere in una recidiva (1%) rispetto a uno che passa il tempo a guardare dalla finestra (68%).

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