L’archeologo trentino sotto il tiro dei missili

Giacomo Capuzzo è a Rehovot, a 25 chilometri da Tel Aviv. Domenica ha sentito esplodere un ordigno a poca distanza. «Ma ora c’è la tregua, tutto tranquillo»


di Giuliano Lott


TRENTO. Dopo circa 150 morti in otto giorni, la tregua tra Israele e Hamas è stata firmata, poche ore dopo l’attentato a un autobus che ha provocato 23 feriti a Tel Aviv. Giacomo Capuzzo, ventottenne archeologo trentino dottorando in archeologia preistorica che grazie a una borsa di studio all’Università di Catalunya a Barcellona sta trascorrendo tre mesi in Israele per approfondire le ricerche con il carbonio 14, ieri mattina era nella capitale israeliana.

Come si vive sotto il tiro dei missili?

Io sto a Rehovot, circa 25 chilometri a sud di Tel Aviv. lavoro al Weizmann Institute, che si occupa di scienze applicate. Sto facendo il dottorato a Barcellone e come visiting student in Israele sto eseguendo ricerche per imparare la tecnica con cui si datano i reperti archeologici. Qui, per fortuna, la sirena dell’allarme non ha mai suonato. Ma domenica pomeriggio abbiamo sentito un’esplosione in lontananza. Era un missile che ha colpito una casa a Rishon, a sette chilometri da qui. Ci sono stati due feriti, l’abbiamo visto poi in tv

Altri inconvenienti?

Il giorno precedente, sabato, abbiamo sentito due esplosioni successive, molto forti. La prima era del missile israeliano che ha intercettato e fatto esplodere un missile diretto sulla capitale, la seconda era del missile che è stato fatto implodere in cielo.

La vostra però è una zona abbastanza tranquilla.

Rispetto a Tel Aviv di sicuro. Qui la sirena ha suonato l’anno scorso, a 4 chilometri da qui. Da quando sono arrivato, due mesi fa, non è mai accaduto. Da Gaza ci separano circa 50 chilometri: gran parte dei missili hanno una gittata inferiore, e poi Hamas concentra gli attacchi sulla capitale. Comunque appena arrivati qui il Dipartimento di sicurezza dell’università ci ha mandato una mail con le prescrizioni in caso di attacco. A un minuto a piedi dalla sede dell’istituto dove lavoro c’è il rifugio più vicino . Ma ce n’è in tutta la città.

E’ andato a vedere il rifugio?

Sì, dopo l’episodio di domenica. Per imparare la strada in caso di necessità. Ma gli israeliani si muovono con sicurezza nonostante gli attacchi, sembrano molto più tranquilli di noi. Forse perché sono abituati a vivere così.

I controlli sono frequenti?

Sì. Prima di salire sul treno, in stazione, si passa attraverso uno screening elettronico, come al check-in dell’aeroporto. Anche agli ingressi dei centri commerciali ci sono guardie e metal-detector per controllare i visitatori uno per uno. Sfuggono ai controlli solo le fermate degli autobus. Ed è lì che si rischia di più in effetti. Però il sistema preventivo israeliano sta garantendo sicurezza. Stamattina (ieri, ndr.) a Tel Aviv la gente era molto tranquilla.

Intanto continua a lavorare?

Certo. Abbiamo eseguito scavi anche a Megiddo, uno dei siti più famosi d’Israele. E’ identificata come l’Armageddon del libro dell’Apocalisse, il luogo del “giudizio finale”. Rientrerò in Italia per Natale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano