«Io, il fante Eugenio, a 101 anni sogno di essere all’Adunata» 

Pisoni, il «nonno» di Gardolo, vuole andarci con il cappello del figlio Sergio, morto a 60 anni: «Ho gli alpini nel cuore» 


di Daniele Peretti


TRENTO. Eugenio Pisoni all’Adunata degli Alpini ci vuole andare anche se nel 1938 il servizio militare lo ha fatto in fanteria. Ci vorrebbe andare nel ricordo di suo figlio Sergio, scomparso a 60 anni, del quale calza con orgoglio il suo cappello d’alpino. Poi perché ha 101 anni ed è il più anziano di Gardolo e poi perché Eugenio è un’ icona della sezione Ana del paese nella quale passa ore coccolato come a casa. «Alla prossima adunata non ci sarò e sfilare, a questa sarebbe come se lo facesse mio figlio e poi ho gli alpini nel cuore». Partecipare non sarà facile, ma il suo appello potrebbe trovare una deroga per permettere a lui ed alla nipote Tiziana di essere presenti.

La storia di Eugenio è da ascoltare in silenzio, colpiti da una lucidità che gli permette di raccontare anche i particolari della sua vita. Eugenio nasce a Castel Madruzzo il primo marzo del 1917, ma perde subito la mamma che muore di parto, mentre il padre non lo ha mai conosciuto. La famiglia è povera e non lo può mantenere. Il curato Don Felice sparge la voce che ci sarebbe un bimbo da prendere in affidamento e dopo poco si presenta una famiglia di Fornace che lo prende in casa fino ai 14 anni, quando scade il contributo comunale. Tornato a Castel Madruzzo non trova più nessun parente e sopravvive con quello che riesce a trovare. «Il mio primo lavoro è stato acquistare pelli di coniglio e lepre dai cacciatori che spesso me le regalavano, per andare a venderle in quella baracca del Bus de Vela (che diroccata c’è ancora) che era di un commerciante».

Un giorno decide di andare a Padergnone. «Chiedo in giro chi poteva avere delle pelli, mi indicano una casa e entro. Una donna stava cucinando delle fortaie e me ne offre un pezzo... io avrei mangiato anche la padella – e ride mentre lo racconta – mentre mangio mi chiede chi sono. Quando le dico che ero il figlio della Giuditta, molla tutto a terra, urla e mi abbraccia: era sua sorella, cioè mia zia». La zia chiede alla famiglia di tenere in casa quel bambino che rischiava di morire di fame. Non ci sono problemi perché la famiglia era benestante e così per Eugenio arrivano anni più tranquilli, fino al servizio militare: «Avevo 22 anni e mi mandano in Libia, ma è a Rodi che i tedeschi mi fanno prigioniero e in aereo mi portano in Germania. Per tenerci fermi ci hanno messo dentro “al bossolo” della bomba, stretti così per tutto il viaggio».

La sua fortuna è stata essere mandato a lavorare in una famiglia. «Ho lavorato per due anni dopo la fine della guerra perché non sapevo che era finita e la famiglia se n’è ben guardata di dirmelo». Eugenio ruba una bicicletta e scappa e dopo 14 giorni è a Bolzano. Torna a Castel Madruzzo e si innamora di Lina, ma la sua famiglia non ne vuol sapere di quel ragazzo senza arte ne parte. Ci pensa don Felice. «Consiglia a Lina di tornare a casa piangendo e dicendo che era incinta. La mamma ci crede e va in paese con un badile a cercarmi, la me voleva copar». Interviene don Felice che propone un matrimonio riparatore che fa finire nel migliore dei modi la loro storia d’amore. Poi è sempre il curato che gli trova un lavoro in Germania e quando torna Eugenio ha i soldi per comprare una casa in paese. Lavora alla costruzione della galleria di Santa Massenza e barattando bottiglie di vino con ferro e cemento inizia a costruire la casa a Gardolo: «Erano anni di fame. Mi misi d'accordo con quattro bellunesi che in cambio del cibo mi fecero lo scavo e in due giorni la scatola era fatta». Gli anni passano con la morte dei due figli, con una macchina guidata fino a 97 anni e con l’affetto di due nipoti e della nuora. A 101 anni il sogno: partecipare all’adunata degli alpini.













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