INFANTICIDIO DI COGNOLAPane e amicizia nel salotto dell'arte

La tragedia a Casa Fedrizzi, dove Ines e Gualtiero intrattenevano la città


Franco de Battaglia


C’è una casa dietro la tragedia della donna che ha occultato la sua creatura mentre veniva alla luce, e lei non sapeva se viva o già perduta. E quando, e perché in quel momento, se e cosa fare. E i momenti corrono, e si inseguono come segni di colore.

Come segni di colore sempre più nero su una tela, come un labirinto che avvolge e trascina. Come un "mandala" di destino che va oltre la propria volontà. Come un' impronta dipinta che non lascia scampo. La casa dove la donna s'è smarrita nella sua tragedia è quella dove Ines Fedrizzi, la grande pittrice scomparsa, ricercava profeticamente il destino della donna - nel suo amore, nel suo dolore, della sua vita, del morire - dentro la complessità di intrecci di colore. A volte potevano apparire merletti, ma a tratti parevano incubi.

C'è sempre una casa dietro queste tragedie di vite che non nascono. Forse perché già chiamate altrove. Forse perché è già altrove, ferito - per tante ragioni, violenze, incomprensioni, paure - il grembo che per mesi le ha accolte. Muore prima la donna o la creatura?

C'è una casa dietro questo interrogativo, e può chiamarsi solo pietà.
C'era una casa anche sul fondale dell'altra tragedia trentina, trent'anni fa, che non si può raccontare tanto fa ancora male, della madre che uccise i suoi due figli adolescenti. Allora, sulla strada dove improvvisamente era sceso un orrore stupito, restò nel pieno della notte una luce accesa all'ultimo piano. L'impronta gialla di una piccola finestra illuminata, solo segno di vita mentre nell'appartamento entravano gli infermieri e i medici, i poliziotti e i magistrati, alla confusa ricerca di una ragione. Una luce accesa, forse a dire che la pietà non doveva spegnersi.
Ora nella vecchia casa fra Cognola e le Laste, dove è precipitata la tragedia non ci sono luci. La notte arriva presto nelle sere d'autunno e porta un buio ancora più pesante, perché quella è stata una casa dove per anni - molti anni fa - le luci sono rimaste accese fino a tarda notte in incontri d'amicizia, in conviti di buon gusto, di cose e parole buone, forse perdute, ma fra gli intriganti affreschi del Fogolino e i bellissimi piccoli quadri contemporanei appesi alle pareti. Erano "flash" di conversazioni intense, d'arte, di politica, di città, di progetti, quando ad animarle c'erano Ines Fedrizzi e Gualtiero. Era una casa dove si accendevano le candele mentre Gualtiero sfornava il pane impastato con le sue mani e cotto sul momento al fuoco della legna, ché il pane fatto in casa più che una cosa buona, è un manifesto di vita, un progetto d'esistenza. Gualtiero portava il pane fatto in casa come un dono di pace.
Ines Fedrizzi e Gualtiero avevano voluto quella casa non solo per sentirsi protetti da austere mura rinascimentali, ma quasi come una sfida per far trionfare la gioia dell'arte e dell'amicizia sugli orrori di guerra che avevano dovuto attraversare. La famiglia di Ines proveniva da Cadine ed era emigrata in Piemonte.
Il papà di Ines, lavoratore e uomo della Resistenza, finì ucciso colpito da una raffica di mitra alle spalle, sparata dai miliziani neri su un ponte del Po. Era in progetto uno scambio di ostaggi, finì con una mitragliata. Ines incontrò Gualtiero mentre precariamente cercava di raggiungere Trento su un camion, profuga a guerra appena ultimata.
Erano ambedue relitti della vita, insieme ne costruirono una nuova. D'amore, di lavoro con le proprie mani, di arte.
Crearono una galleria di pittura, l'Argentario, una fra le più innovative non solo di Trento negli anni Sessanta, ma dell'Italia. Ines divenne una pittrice di successo con le sue impronte, poi con i "mantra" dalle cento sfumature rosa, blu, violetto fino al centro oscuro che tutto inghiotte.
Aveva una incredibile capacità di richiamare pittori internazionali e di farli stare bene insieme agli uomini e alle donne che amavano l'arte a Trento, perché aveva una ricchezza interiore che riscattava il dolore della sua giovinezza. Arredò poi la sua casa a immagine dei suoi dipinti, una frastagliata raccolta di suggestioni destinate a trasformarsi in monumento all'arte in sé, ma non per sé, bensì per chi andava a trovarla. La porta era sempre aperta, quasi come una rivincita. L'arte rioccupava gli spazi che la vita, con la sua violenza, aveva tradito.
Avevano costruito una casa buona, e bella, Ines e Gualtiero, ricca di un fascino che attende un riconoscimento umano e culturale da parte della città. Lasciarla disperdere sarebbe follia. Un nuovo tradimento alla vita, anche perché Ines Fedrizzi sentiva in sé profondamente la componente vitale e al tempo stesso tragica che l'essere donna raccoglie. Chi dà la vita, chi è in grado di darla, subisce su di sé in maniera ancora più profonda la mancanza di vita, la morte. E Gualtiero, da parte sua, quando portava in tavola il pane, lo faceva con gli occhi di un uomo che hanno visto molte cose e che non tutte vuole ricordare. Per questo erano occhi miti, ma croccanti come il suo pane. Porgeva il canestro in silenzio, chi ne prendeva un tòcco sapeva che non era un boccone, ma un momento insieme.
La casa resta buia fra le Laste e Cognola. Ma il ricordo la illumina con il pane appena sfornato di Gualtiero, con i suoi occhi buoni, con l'accoglienza cordiale e sempre un po' misteriosa di Ines. E' da lì che la speranza deve ricominciare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano