I 51 platani delle «roste», 120 anni e non sentirli

Il progetto di alberatura venne depositato proprio nel gennaio del 1894. Da allora i “monumenti naturali” hanno impreziosito l’argine del fiume cittadino


di Mauro Lando


TRENTO. Molto interessante è stata - nei giorni scorsi alla biblioteca comunale di via Roma - la conferenza promossa dal Museo storico di Trento su piazza Dante con i suoi monumenti ed i lavori di ripristino del parco. Naturalmente nell’incontro ha avuto un ruolo di primo piano proprio il monumento a Dante Alighieri inaugurato in un clima di italianità nell’ottobre 1896. Mancano due anni all’anniversario dei 120 anni e ci sarà occasione per celebrarlo. Quest’anno invece, proprio nel mese di gennaio, ricorre l’anniversario di un “monumento” che tutti vedono ma non guardano e forse non apprezzano come sarebbe necessario. E’ il “monumento vegetale” più importante di Trento ed è costituito dai 51 platani, questi sì secolari, che impreziosiscono l’argine dell’Adige e dell’Adigetto.

E’ il luogo noto anche come “roste de l’Ades”. Piantati nel 1894, quegli alberi hanno resistito 120 anni, godono di una discreta salute, hanno un’altezza media di 26 metri, ma con massimo di 34,5 e una circonferenza media i 443 centimetri. Davvero Trento deve pensare a questo filare di platani, il quale si snoda dalla stazione di partenza della funivia di Sardagna fino al nuovo quartiere delle Albere, come un vero e proprio monumento. Soprattutto per l’aspetto botanico e paesaggistico, ma anche per una ragione “storica”. Rappresenta infatti l’inizio dell’alberatura delle strade, e non solo, della “nuova città” ottocentesca. Aver piantato alberi dà il senso della cura verso l’arredo urbano che si aveva anche nel diciannovesimo secolo.

Tutto ebbe inizio nella seduta del 18 luglio 1898 quando il Consiglio comunale, con podestà Paolo Oss Mazzurana, approvò quella che ora sarebbe definita una “mozione” al fine di regolare le alberature lungo le strade, soprattutto quelle nuove. A tal proposito basti solo ricordare che l’attuale via Verdi e via Rosmini vennero tracciate nel 1888 e via Grazioli nel 1891. L’incarico di predisporre il programma di alberature fu affidato all’“ingegnere civico” Annibale Apollonio. Ebbene con data 14 gennaio 1894, 120 anni fa, Apollonio sottoscrisse il proprio progetto ora depositato nell’archivio storico del Comune nel fascicolo con segnatura ACT2. VII. 106. 1892. Curiosa è la concretezza dell’incipit del progetto, che segnala come in precedenza vi siano stati studi ed approfondimenti che vennero dati per acquisti. Scrisse Apollonio: “S’avvicina la stagione propizia per fare gl’impianti d’alberi sulle nuove vie già ultimate, conviene pensarci subito per la provvista delle piante a quest’uopo necessarie”.

Il primo impegno previsto nel progetto era quello di intervenire sul “viale sull’argine di separazione dell’Adige dalla fossa di scolo (l’attuale Adigetto, ndr), dal tombone ferroviario di Torre Vanga (l’attuale cavalcavia San Lorenzo, ndr) fino all’allargamento della corona eseguita l’anno scorso”, cioè fino alla conclusione del filare di platani ora esistente. Tenuto conto che quella sull’argine dell’Adige era la prima alberatura segnata sulla lista, è logico pensare che sia stata concretamente realizzata proprio nella primavera del 1894. La decisione, in accordo coll’ “I.R. Dirigenza dei lavori dell’Adige”, fu di collocare un filare unico, centrale all’argine così che “vi possano eventualmente transitare i carri dall’una e dall’altra parte rimanendo di qua e di là 4,75 metri di spazio”. I carri, cui faceva riferimento Apollonio, erano quelli per eventuali lavori sulle rive dell’Adige o dell’Adigetto, ma nei successivi tempi di belle époque i carri divennero probabilmente le carrozze di chi frequentava quel giardino. E’ probabile che poi anche qualche automobile si sia avventurata in quella che proverbialmente era diventata un’area da innamorati. Ora la sommità dell’argine è diversa da quella originaria perché dopo l’alluvione del novembre 1966 è stato rialzata di due metri la parte rivolta verso via Sanseverino. Tornando al progetto del 1894, Apollonio espresse apertamente il dubbio se i platani avessero attecchito adeguatamente. A tal proposito indicò che le piante fossero collocate ad 8 metri l’una dall’altra “onde abbiano posto per svilupparsi nel loro piano vigore”, e contemporaneamente prescrisse che ogni platano dovesse essere alternato con un ippocastano.

Il motivo di questa alternanza si rivelò del tutto errato. “Non so”, scrisse, “se in quel luogo (i platani) riescan bene quindi credo conveniente di alternarli con ippocastani”. Successe invece all’incontrario: gli ippocastani stentarono e furono sostituiti dai platani che hanno raggiunto il vigore di cui oggi danno testimonianza. Buon compleanno quindi al filare di platani sull’argine: 120 anni portati più che bene. L’auspicio è che il collegamento ora creato con il quartiere “le Albere” riesca a rendere più utilizzato quello straordinario parco arginale. Può anche diventare un “braccio” del Muse.













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