Don Bortolameotti e Adele, i «giusti» di Cloz 

Il sacerdote e la perpetua nascosero per 600 giorni un ingegnere di origine ebraica La figura del parroco e della collaboratrice ricordati in un incontro pubblico


di Carlo Antonio Franch


CLOZ. Il parroco don Guido Bortolameotti (1904-2002) e la sua perpetua, che nel 1983 furono insigniti della Medaglia del Giusto, per aver nascosto nella canonica di Cloz, in tempo di guerra, l’ingegnere Augusto Rovighi, di origine ebraica, sono stati ricordati dall’amministrazione comunale di Cloz, dalla parrocchia e dalla Comunità di Valle. Nella prima parte dell’incontro don Fortunato Turrini ha ripercorso la storia del popolo ebraico nel corso dei secoli, ricordando tutte le persecuzioni che dovettero subire, terminando con il racconto dell’ingegnere Rovighi, sposato con Serafina Rizzi di Cloz che nel 21 settembre 1943 chiese aiuto a don Bortalomeotti per sfuggire ai rastrellamenti dei nazisti in regione. Il parroco, durante una sagra a Tregiovo, chiese un parere a diversi sacerdoti presenti, per tentare una soluzione con il trasferimento dell’ingegnere in un maso, ove Rovighi si potesse nascondere, ma non ebbe alcuna indicazione. Quindi propose all’ingegnere di fermarsi una notte in canonica. Fu ospitato in una stanza al secondo piano e vi rimase fino al maggio 1945, per 600 giorni. Nel tempo in cui l’ingegnere rimase nascosto, non fu inattivo: trascrisse i canti di Monsignor Celestino Eccher e stese il progetto della nuova canonica, dell’asilo, del cinema e delle opere parrocchiale con relativo plastico. La moglie di Rovighi fu impiegata come bibliotecaria in modo che potesse vedere di nascosto il marito, senza destare sospetti. I parrocchiani di Cloz rimasero all’oscuro della vicenda; don Guido non fece parola con nessuno per non correre seri pericoli. Il suo atto eroico nell’aver ospitato, rischiando molto, un ebreo, gli venne riconosciuto nel 12 giugno 1983, quando il console d’Israele in Italia, a nome dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, (Istituto di Gerusalemme che raccoglie e tramanda l’olocausto di milioni di ebrei e insieme gli atti eroici di chi si impegnò a salvare le loro vite), donò al sacerdote trentino e alla sua collaboratrice Adele Turrini la “Medaglia dei Giusti”, che ha come motto “Chi salva una vita salva il mondo intero” (Talmud), riconoscimento che, oltre alla medaglia, gode della dedica di un albero, sul Monte delle Rimembranze, perché tale pratica nella tradizione ebraica vuole significare il ricordo eterno di una persona cara. Durante l’intervista don Bortolameotti disse: “Non ho fatto altro che il mio dovere, verso un fratello bisognoso”. Una lapide a ricordo dell’episodio sarà collocata sull’edificio della vecchia canonica, perché la memoria duri nel tempo e coinvolga anche le nuove generazioni. Sisinio Franch ha ricordato tutta l’opera di don Bortalomeotti nella costruzione della chiesa parrocchiale in soli due anni, che fu nominata “Chiesa del miracolo”. Maria Floretta ha raccontato un episodio del tempo di guerra in cui si rileva il forte carattere di don Bortolameotti e la sua rettitudine. È intervenuto anche Marcello Graiff portando le testimonianze dei racconti di quel periodo buio. Ha introdotto la serata il vicesindaco Aaron Turri e l’assessore alla cultura della Comunità di Valle Fabrizio Borzaga e ha concluso il consigliere provinciale Lorenzo Ossanna. Uno dei “Giusti” fu Odoardo Focherini (beatificato il 15 giugno 2013), nativo di Cellentino in Val di Sole (1907-1944)”. Un altro fu fratel Emanuele Stablum, nativo di Terzolas (1985-1950), che fu direttore di un istituto dermopatico a Roma dove nascose ben 48 ebrei.















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