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«Corsi di sesso a scuola: io, prof, non ci sto»

Una docente del liceo Rosmini lo ha scritto alle famiglie «Questa è una proposta inammissibile»



TRENTO. Corso di educazione o, piuttosto, di addestramento sessuale a scuola? La contrarietà di un’insegnante cittadina è netta.

Si è seduta al computer ed ha scritto una lettera ai genitori dei suoi studenti, una classe seconda, del liceo pedagogico Rosmini di via Malfatti: «Nella classe di vostro figlio, dove insegno scienze naturali, tra breve verrà proposto un corso di educazione sessuale. Ebbene questo sarà invece un corso d'addestramento sessuale che, frettolosamente ed in modo parziale, viene proposto a scuola. Un fatto che costituisce un'ingerenza inammissibile, una violenza inaccettabile» scrive la professoressa Katia Ricciardi che, come chiarisce nell'incipit della lettera alla famiglia, al Rosmini insegna scienze naturali.

Una presa di posizione messa nera su bianco, in evidente contrapposizione con un progetto, a suo tempo approvato dal consiglio scolastico, che la bacheca elettronica della scuola sintetizza così: “educazione socio affettiva e sessuale per le classi II. Promosso dalla scuola e gestito da psicologi e operatori sanitari”.

Ma la realizzazione del progetto scolastico vede la presa di distanza della professoressa Ricciardi che, però, fa capire di doversi attenere agli ordini della preside: «Il corso dovrebbe essere neutrale. Ma, nel momento in cui si impone che, in vista dello stesso, la classe riceva una lezione sugli aspetti anatomici e fisiologici della riproduzione (nonostante ciò non c'entri nulla con la programmazione annuale dell'insegnamento di scienze naturali) è evidente quale approccio alla sessualità stiamo avallando e quale invece mostriamo di disprezzare. E questo avviene anche nel momento i cui si calpestano il pudore e la purezza, invitando i ragazzi a confrontarsi liberamente sulle proprie esperienze e aspettative sessuali», osserva ancora la docente riferendosi al corso che, come detto, verrà impartito a studenti di 15 anni.

Alla professoressa Ricciardi, come si legge nella lettera, il corso in questione non è parso adatto sin dalle premesse: «Il pensiero di chi promuove il corso è : “Vogliamo essere il più possibile neutri”. “I ragazzi sono grandi e ognuno si è già fatto un'idea”. “Forniamo ai ragazzi informazioni e strumenti, senza dire cosa è giusto e cosa è sbagliato”. Ma questo corso respinge l'istanza morale. C'è educazione – continua la prof – soltanto se si agisce affinchè qualcuno diventi eticamente migliore, altrimenti si sta facendo dell'addestramento. Ovvero ci si limita a trasmettere delle competenze».

Insomma a pochi giorni dalla polemica sollevata da uno spettacolo teatrale “gender” proposto ad alcuni studenti trentini, arriva una lettera che sembra per certi versi riaprire una discussione che pareva sopita: sui tempi ed i modi di fare educazione sessuale a scuola. La professoressa del Rosmini, per dirla tutta, una sua convinzione ce l’ha: «L’educazione sessuale dei figli spetta soltanto alla famiglia. L’educazione si realizza, gradualmente e pienamente, solo nella famiglia i cui ilo ragazzo è accolto, allevato ed amato».

In una scuola laica come il Rosmini la lettera della professoressa Ricciardi si staglia come un atto di obiezione di coscienza. Lecito ma, forse, tardivo come tempistica. Di certo i dubbi didattici dell’insegnante non appaiono disgiunti da convinzioni religiose di un’ortodossia difficile da trovare nella scuola. Anche non laica: «La disgiunzione tra componente unitiva e la componente procreativa dell’atto sessuale oggi è imperante. I frutti di questa frattura sono amari. Da una sessualità spogliata dalla componente procreativa scaturiscono la pornografia, la pedofilia, l’ideologia omosessualista, la promiscuità sessuale e l’ipersessualizzazione dell’infanzia e dell’intera società», scrive la professoressa chiudendo la lettera ma, di certo, non la discussione.













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