Con un figlio nato prematuro delusi da neonatologia a Trento

Giulia e Stefano Degasperi sono rimasti due mesi a Udine con il piccolo in incubatrice. «Un reparto aperto 24 al giorno per i genitori, spazioso e accogliente. Al S.Chiara struttura vecchia e molti limiti»


di Matteo Ciangherotti


TRENTO. Le vacanze al mare a Lignano Sabbiadoro, una maternità tranquilla in attesa del parto. Poi all'improvviso Massimo che decide di nascere, prematuro. La corsa in ospedale. In un piccolo ospedale di periferia e poi il trasporto al reparto di neonatologia dell'ospedale di Udine.

Una casa in affitto per due lunghi mesi. Ogni giorno lo stesso tragitto, per osservare Massimo passare il tempo dentro a un'incubatrice, a riprendersi un po' di quella fretta che lo aveva fatto nascere in anticipo. Un reparto spazioso, accogliente e con accesso per i genitori 24 ore su 24, quello di Udine.

Le tensioni che si smorzano con dolcezza al pensiero di poter vedere il proprio figlio ogni volta che si vuole, di stargli accanto con la dovuta riservatezza, lontano dagli occhi indiscreti di chi non sa, di chi non può sapere.

I due mesi finiscono e Massimo sta un po' meglio. Finalmente può tornare nella città dei suoi genitori, dove Giulia e Stefano vivono e lavorano: Trento. Massimo, però, non può ancora abbandonare la sua incubatrice, il suo angolo di protezione, e così viene trasportato nel reparto di neonatologia dell'ospedale Santa Chiara con un viaggio in elicottero, in aria fra le nuvole.

Arriva a Trento e lì inizia il calvario dei suoi genitori. Niente più visite a ogni ora, incubatrici appiccicate l'una all'altra, zero privacy.

«Nostro figlio è rimasto a Udine per due mesi, dal 24 giugno al 27 agosto. Poi a fine agosto è stato trasferito a Trento. Noi per primi, da trentini, ci siamo stupiti negativamente della situazione che abbiamo trovato», raccontano Giulia e Stefano Degasperi.

Pensavano, come la maggior parte dei trentini, che la loro città, la loro provincia, il loro sistema sanitario potesse offrirgli il meglio in circolazione, almeno rispetto alle nefandezze italiane. Si sono sbagliati e il risveglio, insieme al rimpianto per Udine, è stato duro.

«Ci hanno sempre raccontato che la neonatologia trentina era il nostro fiore all'occhiello e che i numeri bassi sulla mortalità infantile lo confermavano ampiamente. Siamo entrati nel reparto del Santa Chiara e abbiamo scoperto una realtà diversa – spiegano i genitori di Massimo -. Niente da dire su personale e medici che si sono sempre dimostrati disponibili e competenti; ma il problema di spazi e struttura è evidente. L'accesso all'ospedale è limitato a poche visite giornaliere perché altrimenti sarebbe difficile gestire una qualsiasi emergenza. Il rapporto tra medico, infermiere e paziente è complicato dai numeri; una sola infermiera si trova a gestire da otto a dieci bambini, mentre a Udine avevamo praticamente un rapporto uno a uno. Il personale è così costretto a turni massacranti, due notti ogni cinque giorni perché sono in pochi».

Massimo ora sta meglio e sta per essere dimesso. Con lui se ne vanno un po' di quelle ansie e paure che hanno popolato per mesi i pensieri dei suoi genitori.

«La presenza di un genitore è fondamentale. Mi sono stressata più in questo mese a Trento che in due mesi a Udine», dice Giulia. Come quando arrivi alla porta del reparto e la trovi sbarrata: visite sospese. E per un giorno intero impari a rinunciare agli occhi di tuo figlio.

«La terapia intensiva è una stanza piccolissima, sarà 3 metri per 4 – prosegue Stefano -, le incubatrici sono una addossata all'altra. La marsupio terapia la devi fare con a fianco i genitori di un altro bambino, non c'è alcuna riservatezza. All'ingresso c'è una stanza per lavarti e sterilizzarti con un lavabo e dei minuscoli armadietti. Due metri quadrati con poco igiene e una sedia per la mamma. A Udine c'è un intera fila di lavatoi enormi. Quello di Trento è un reparto vecchio, che forse andava bene venti, trent’anni fa» conclude amaro il padre di Massimo, che come Giulia si attendeva un trattamento diverso da ciò che passa per essere un’eccellenza della nostra sanità.

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