«Con Renzi governo di cambiamento»

Tonini: «Un azzardo, ma il Pd deve provarci». In direzione Nicoletti non vota. Dellai: «Non si passi a un esecutivo di sinistra»


di Chiara Bert


TRENTO. Il senatore Giorgio Tonini, renziano della prima ora, confessa di essere stato «tra coloro che in questi giorni hanno fatto più obiezioni a Matteo Renzi sul fatto di procedere su questa strada», ma a cose fatte - crisi di governo aperta, Letta dimissionario e Renzi investito dalla direzione Pd - il senatore conclude: «Un leader ha il diritto e il dovere di fare le sue scelte. Non potevamo più stare al governo con un piede sì e uno no. C’erano due strade possibili: il voto, ma c’era il veto del capo dello Stato e il proporzionale ci avrebbe consegnato un parlamento di nuovo senza maggioranza, oppure tentare un governo di cambiamento in cui il Pd mette tutta la sua forza. La spinta, tra gli alleati e le forze sociali, andava in questa direzione. Di fronte alla sfiducia nel governo e alla richiesta di un cambio di rotta, Renzi ci ha messo la faccia. Un azzardo, ma era l’unica strada per rilanciare la legislatura». Per Tonini «è vero che la maggioranza resta la stessa del governo Letta, ma fare accordi con Alfano, Cicchitto e Sacconi sarà più facile anche per via di un’opposizione frastagliata tra Forza Italia, M5S, Lega e Sel». Lo scoglio che Tonini vede è piuttosto interno al Pd: «Renzi ha le idee, non ancora progetti di governo pronti. Ma quella che abbiamo davanti è una sfida collettiva che bisogna raccogliere».

Ma dentro il Pd il momento è complicato. Lo dimostra il deputato Michele Nicoletti, che ieri in direzione non ha partecipato al voto che a larga maggioranza ha approvato il documento del segretario: «Si è preso atto che le forze di governo non lo sostenevano più e che le forze sociali chiedevano una svolta politica - spiega - ma io, che pure non ero un sostenitore accanito del governo Letta, non ho condiviso il metodo, avrei preferito un passaggio istituzionale con i partiti e il capo dello Stato per verificare il piano di rilancio proposto dal premier uscente. Ora speriamo di portare a compimento alcune delle riforme annunciate, io sono fiducioso sulla tenuta del Pd». Le cose hanno preso una piega ben diversa ma alla fine della direzione Pd perfino un’altra renziana doc come Elisa Filippi ammette: «Il mio sì è stato convinto ma è una giornata molto difficile e avverto tutto lo spaesamento di molti nostri elettori. È un passaggio difficile sotto il profilo umano, ma il sostegno chiaro al documento di Renzi è stato la presa d’atto delle difficoltà del governo e di Letta. Il giudizio di inadeguatezza verso il governo era altrettanto forte nel nostro elettorato, dall’Imu al caso Cancellieri, agli errori madornali nella legge di stabilità sulle slot e sugli insegnanti». «Quella sancita oggi - continua Filippi - non è una “staffetta”ma un cambio di rotta con un nuovo orizzonte, il 2018. Renzi non sarà solo, ci sarà una nuova squadra. Il Pd rischia tutto per fare finalmente le cose».

Fuori dal Pd le dichiarazioni dei parlamentari trentini si mantengono caute. In una nota i Popolari per l’Italia, il partito di Lorenzo Dellai, avvertono che «il Pd può cambiare il presidente del consiglio, ma non la natura del governo. Non si può passare da un governo di intese con la sinistra ad un governo di sinistra». Il senatore Vittorio Fravezzi (Gruppo Autonomie) confessa il suo stupore: «È un passaggio rischioso anche visto dal Trentino, che aveva in Enrico Letta un amico dell’autonomia. Ma è vero che questo continuo dualismo tra Renzi e Letta non poteva durare». Per Mauro Ottobre (Svp-Patt) «l'avvento di Renzi potrebbe aprire una fase interlocutoria per la tutela dell’autonomia. A noi parlamentari il compito di adottare una linea comune nei confronti di atteggiamenti che potrebbero essere lesivi».













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