Chernobyl, tracce radioattive nel suolo 25 anni dopo

Bonomi dell'Appa: «Più alto il livello di fondo del Cesio. Ma non c'è alcun rischio»


Luca Marognoli


TRENTO. Il 26 aprile ricorrono i 25 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente nucleare mai avvenuto. A un quarto di secolo di distanza, nei boschi e nei prati del Trentino, rimangono ancora delle tracce di quella pagina nera della storia. Tracce infinitesimali di Cesio 137, il metallo tossico prodotto dalla fissione nucleare, che oggi tuttavia non costituiscono più alcun rischio per la salute. L'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente ha condotto, all'inizio degli Anni Duemila, alcune campagne di rilevamento nel terreno. Ma la situazione è tenuta costantemente sotto controllo mediante le stazioni gestite dai vigili del fuoco distribuite sul territorio, cui si aggiunge quella della stessa Appa a nord dell'aeroporto, che compie misurazioni giornaliere sulla radiocontaminazione in aria, nel particolato e - in caso di precipitazioni - nell'acqua piovana. «In qualsiasi terreno c'è sempre del Cesio 137, che fa parte del fondo naturale e viene movimentato dalla pioggia ma anche dalle radici delle piante», spiega Mauro Bonomi, responsabile del reparto radiochimica dell'Agenzia. «Quello che ha fatto Chernobyl è stato di aumentare il fondo precedente, che oggi varia da 40 nano Gray/ora fino ad anche 250. La quantità dipende da dove ci troviamo: c'è una variabilità molto forte». Questo livello ha risentito anche in passato di sbalzi significativi: «Si è alzato dopo le bombe atomiche degli anni Cinquanta (quelle fatte esplodere da Cina, Stati Uniti e Francia, negli atolli), poi si è abbassato e rialzato a seguito di Chernobyl». Prima del disastro nella centrale ucraina - il cui bilancio ufficiale fu di 65 morti accertati ma che secondo diverse agenzie dell'Onu porterà a 4 mila vittime per tumori e leucemie in un arco di 80 anni - «la variabilità era identica ma c'era una media più bassa. L'incremento, in Trentino, è valutabile in qualche decina di nano Gray/ora». Ma a 25 anni di distanza esistono conseguenze per la salute? «Come per tutte le cose statistiche, c'è anche un valore epidemiologico: ci può essere un aumento di qualche unità, sull'intera popolazione, di patologie legate alla radioattività. Ma sono cose normalissime. Diciamo che è un rischio interessante per gli studiosi, ma di fatto insignificante». La radioattività è anche un fenomeno naturale. L'esperto ricorda che l'esposizione è molto maggiore per chi viaggia in aereo, tanto che i piloti e gli steward hanno un accresciuto rischio radiologico: «Questo è dovuto ai raggi cosmici, che l'atmosfera filtra». Tornando agli effetti di Chernobyl, è impossibile sapere in che punti questi fossero stati più accentuati. «I terreni spugnosi sono quelli che assorbono di più, ma dipende: quei giorni il vento era a chiazze». E i funghi dei nostri boschi: oggi esistono ancora tracce di Cesio? «I funghi meritano un discorso a parte, perché assorbono molti metalli», dice Bonomi. «Non sono un cibo sanissimo, da questo punto di vista, ma si mangiano solo in qualche occasione, non ogni giorno. Siamo comunque al di sotto dei limiti di legge, che per gli alimenti sono di 600 becquerel/Kg e scendono a 370 per il latte. Ma valori del genere non li troviamo più da anni». Nessuna traccia nel suolo, invece, è rintracciabile dopo l'incidente di Fukushima. «Le stazioni trentine non rilevano nulla. E' stato un evento meno violento, più diffuso e a 12-13 mila chilometri di distanza. Credo che nel fondo non ci sarà alcun aumento sostanziale». Oggi infatti le misure giornaliere sono sempre al di sotto del minimo rilevabile dagli strumenti sia per il Cesio 137 e 134 che per lo Iodio 131. E l'acqua? Sul sito internet dell'Appa è consultabile una tabella che riporta le misure di ricadute secche e umide sulla raccolta mensile di acque piovane dal 1986 ad oggi. L'anno del disastro nella stazione di Trento Nord si registrò una media annuale di 12290 Bq/m2 (una dose che Bonomi definisce comunque «non da evento acuto»), che scesero a 704 l'anno dopo, a 213 nel 1988, a 74,8 nel 1989 e a 2 nel 2003. Dal 2004 in poi siamo rimasti costantemente sotto lo 02.

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