Boom di condanne per i padri separati

Con la crisi non ce la fanno a pagare l'assegno per i figli e rischiano la prigione


Ubaldo Cordellini


TENTO. La crisi picchia duro sui nuovi poveri, ovvero i padri separati. Basta dare un'occhiata ai ruoli delle udienze penali in Tribunale, a Trento. Quasi ogni giorno c'è un processo per il reato previsto dall'articolo 570 del condice penale, ovvero la violazione degli obblighi di assistenza familiare. Sono sempre di più i padri che non ce la fanno a pagare l'assegno per i figli.

La giurisprudenza. Il reato è quello tipico di chi non versa l'assegno di mantenimento per i figli. Si tratta dell'assegno stabilito in sede di separazione dal giudice. Con la crisi, si moltiplicano i casi di padri che non ce la fanno a pagare e finiscono in tribunale per questo motivo. In questi casi, la giurisprudenza è molto severa. L'assegno di mantenimento va versato a meno che non si dimostri che non ci siano più risorse del tutto. Per questo fioccano le condanne.

Non basta dimostrare che c'è stata una diminuzione del reddito e neppure basta sostenere che si ha una nuova famiglia e, quindi, non si ha la stessa capacità economica di un tempo. In questi casi, i giudici salvaguardano l'interesse superiore del bambino. Per questo le condanne sono molto numerose. Non solo, in molti casi non viene concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Questo perché i giudici ritengono che la pena non possa essere sospesa fino a che il padre non versi l'assegno ai figli. Ecco, quindi, che si sono spalancate le porte della prigione per piccoli imprenditori o artigiani edili che non hanno mantenuto i loro impegni con i figli.

Le storie. La settimana scorsa le manette sono scattate ai polsi di un imprenditore di Rovereto che deve scontare un cumulo di pene per un totale di 11 mesi di reclusione. Tra queste, la più importante, è quella a sei mesi per non aver versato l'assegno di mantenimento ai figli. Una volta che la sentenza è diventata definitiva e, visto che non è stata prevista la sospensione condizionale, l'imprenditore è finito dentro. Inutile la difesa dell'uomo che sosteneva di non poter versare l'assegno a causa della crisi economica che ha assottigliato le sue entrate economiche. Anche un cuoco della Val di Sole rischia grosso. Di recente il giudice di Cles Enrico Borrelli lo ha condannato a sei mesi di reclusione sempre per violazione degli obblighi di sostentamento. Anche in questo caso non è stata prevista la sospensione condizionale. Il cuoco doveva versare un assegno di 450 euro per il mantenimento del figlio. Ha saltato alcuni mesi e la moglie lo ha denunciato. La donna al processo ha sostenuto che, a causa del mancato contributo del padre, non poteva comprare la carne da dare al bambino. L'uomo ha cercato di difendersi sostenendo che il suo lavoro di cuoco stagionale era in difficoltà proprio a causa della crisi. Non solo. L'uomo ha anche detto di aver avuto due figli da una successiva unione. Ma nessuna delle due motivazioni è stata sufficiente per sottrarlo alla condanna a sei mesi di reclusione. Stesso destino per un camionista della val di Non che è stato condannato a tre mesi di reclusione. Anche per lui la condanna è diventata definitiva e si è salvato dalla prigione solo perché gli è stato concesso l'affidamento in prova ai servizi sociali.

I legali. Del resto, come spiega l'avvocato Andrea De Bertolini, per chi non ha soldi non ci sono alternative: «L'assegno stabilito dal giudice non può essere autoridotto. Se deve chiedere allo stesso giudice il cambiamento delle condizioni di separazione. Purtroppo il fenomeno è molto frequente». L'avvocato Claudio Tasin aggiunge: «L'importo medio di un assegno dignitoso è ritenuto di 360 euro a figlio. Purtroppo, con la crisi economica, sono molti i padri che non ce la fanno a pagare». In Trentino c'è il ruolo di supplenza della Provincia. Le madri, se non il coniuge non fa il suo dovere, possono chiedere il versamento alla Provincia, ma piazza Dante è obbligata a segnalare d'ufficio la vicenda alla magistratura.













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