L’intervista

Paolo Sartori: «I miei seminari all'università preziosi per stare con i giovani»

Il questore di Bolzano: «Entrare in Polizia era il mio sogno da bambino. La curiosità e la capacità di ascolto mi hanno aiutato nel lavoro, perché la verità è nascosta spesso da un dettaglio»


Antonella Mattioli


BOLZANO. «Insegno ai corsi di criminologia dell'Università San Raffaele di Milano e lo ritengo importantissimo, perché mi consente di restare in contatto con i giovani. Voglio comprendere i rapidi cambiamenti di quel mondo e soprattutto capire sogni, progetti, preoccupazioni, prendendomi il tempo per ascoltare». L'appuntamento è alle 9 di sabato, ma il questore Paolo Sartori - 62 anni, originario di Caderzone Terme in Val Rendena, un figlio ormai grande - è arrivato in ufficio con largo anticipo.

Abituato ad alzarsi presto e ad andare a letto tardi, ha già controllato le relazioni delle Volanti sulla notte appena passata; e firmato due decreti di espulsione per altrettanti pregiudicati clandestini che saranno accompagnati a Roma. Destinazione: il Centro di permanenza per i rimpatri. Tanto inflessibile nell'applicazione della legge, quanto empatico nei rapporti con le persone, nonostante sia a Bolzano da poco più di due mesi, ha instaurato da subito un filo diretto oltre che con le istituzioni con la popolazione.

Lo stesso approccio con cui ha interpretato i diversi ruoli ricoperti nel corso di una brillante carriera, iniziata come capo della squadra Mobile di Trento, proseguita per vent'anni nei Paesi del Sudamerica e dell'Est Europa. Per poi tornare in Italia. Gli ultimi incarichi come questore di Mantova e poi di Vicenza.

Dottor Sartori, perché dopo la laurea in Giurisprudenza, ha deciso di intraprendere la carriera in Polizia?

È un sogno che avevo da bambino.

E in alternativa cosa avrebbe potuto fare?

Il pilota di aereo. Ma credo di essere più portato per il lavoro che sto facendo.

Da cosa deriva questa convinzione?

Dal fatto che sono molto curioso e mi piace ascoltare le persone. Due caratteristiche che mi portano a cogliere anche le piccole sfumature. Spesso in un'indagine, la verità è nascosta in un dettaglio che senza curiosità e capacità di ascolto, difficilmente avresti scoperto.

Com'è la vita di un questore?

Impegnativa. Comincio la mattina presto e non stacco mai prima delle otto di sera. Sono sempre raggiungibile anche la notte, ovviamente.

E riesce a ritagliarsi qualche spazio per sé?

Bisogna sapersi organizzare, ottimizzando il tempo.

Nei ritagli di tempo libero come si ricarica?

Con lunghe camminate nei boschi della Val Rendena. Io sono originario di lì. Mi rilassa molto andare a funghi.

In passato ha vissuto quasi tre anni sotto scorta.

La scorta mi era stata assegnata in seguito ad un'indagine sul riciclaggio di denaro condotta sulla famiglia dei Corleonesi. Vivere con la scorta è dura, perché limita moltissimo la tua libertà e condiziona ogni momento della giornata. Ma ha pesato in particolare su coloro che mi stavano accanto. Perché se io ho scelto di fare un certo tipo di vita, loro no. Ciononostante, ne avevano dovuto subire le conseguenze.

Cosa le rimane della lunga esperienza in due realtà diverse: i Paesi del Sudamerica e quelli dell'Europa dell'Est?

Sono stati vent'anni fondamentali per la crescita professionale, ma soprattutto per conoscere altre persone e altre culture. Ho mantenuto i contatti e ho ancora molti amici in quei Paesi.

Che città è Bolzano?

Una delle zone più sicure d'Italia.

La percezione della popolazione però è diversa.

Lo so. Perché una cosa è ciò che raccontano le statistiche; un'altra cosa, la sensazione che uno ha della realtà.

Come lo spiega?

La spiegazione è duplice: il rapido invecchiamento della popolazione e i social.

Cosa c'entrano con la percezione della sicurezza?

C'entrano eccome. Innanzitutto perché invecchiando - e questo vale per ciascuno di noi - aumentano le paure. E poi ci sono i social che fanno il resto. Ovvero, le dilatano in maniera esponenziale. Il lavoro delle forze dell'ordine in questo contesto è sempre più complicato, perché si trovano a gestire più paure che fatti reali.

Però anche le paure, benché in parte possano essere considerate infondate, non devono essere sottovalutate.

Infatti non le sottovaluto, ma cerco di gestirle.

Come?

Attraverso la comunicazione con le istituzioni innanzitutto, ma anche con il contatto diretto con la popolazione. Ricevo quotidianamente una serie di richieste di incontri. Ascolto le paure della gente; raccolto suggerimenti, indicazioni, consigli.

Come si rassicurano le persone?

Con i fatti e con la comunicazione corretta. Per questo tutto ciò che facciamo, per garantire la sicurezza, lo comunichiamo attraverso la stampa e le televisioni. La popolazione deve sapere che noi ci siamo.

Quali sono i fenomeni che maggiormente la preoccupano anche in una realtà tranquilla come Bolzano?

Le devianze giovanili e la violenza di genere.

Le cause?

Nel primo caso una crescente mancanza di rispetto per le persone in genere e per le istituzioni in modo particolare. Tanto che in due mesi abbiamo avuto otto agenti feriti. Per quanto riguarda la violenza di genere, tra le cause scatenanti ci sono l'abuso di alcol e droga. Oltre alla dipendenza da gioco, che anche in Alto Adige sta rovinando diverse famiglie. Sono dinamiche meno isolate di quello che si potrebbe pensare.

Ma sono aumentati i casi di violenza sulle donne o è aumentata la consapevolezza delle vittime?

Sicuramente c'è un aumento dei casi, ma c'è soprattutto più consapevolezza da parte delle vittime.

Le donne spesso temono di non essere credute.

Nostro compito è non sottovalutare, non minimizzare mai, per evitare possibili tragedie.

Lei è apprezzato da una parte, ma criticato dall'altra, per la mano dura sulle espulsioni: una trentina di provvedimenti in poco più di due mesi.

È vero che applico in maniera severa la legge, ma le critiche non mi spaventano. La sicurezza è un concetto condiviso e ritenuto prioritario. Chi viene in Italia deve rispettare la legge italiana. Punto. Quindi se io trovo un pregiudicato, clandestino, senza documenti firmo il decreto di espulsione. I primi a ringraziarmi sono i cittadini extracomunitari onesti.

Poi però le persone vengono effettivamente rimpatriate o alla fine continuano a rimanere sul territorio italiano?

Noi li accompagniamo nei Cpr - i più vicini sono a Gorizia, Milano e Torino -; poi c'è fino ad un anno e mezzo di tempo per identificarli attraverso le autorità consolari e rimpatriali. Io intanto ho provveduto a toglierli dal contesto cittadino. La popolazione ci chiede più sicurezza ed è anche così che si garantisce.













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