Strada

Incidenti stradali, i cellulari alla guida uccidono più dell'alcol

Giansante Tognarelli, che è stato al comando della Polizia stradale di Trento per dieci anni, condivide l’appello del presidente Mattarella: «È una emergenza che sottovalutiamo»


Luca Marsilli


TRENTO. Ha fatto impressione, sentire il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dedicare un lungo passaggio del suo discorso di fine anno agli incidenti stradali che hanno come vittime e protagonisti i ragazzi. E ha fatto impressione perché la tradizione vuole che in quel momento siano affrontati i temi di grandissima portata, i momenti di svolta, le tendenze destinate a segnare svolte o pericoli epocali.

Mettere gli incidenti stradale a fianco della guerra in Ucraina e del cambiamento climatico, è suonato in qualche misura come un allarme imprevisto: c'è un fenomeno di gravità tale da richiedere un richiamo da parte del Presidente nel momento dell'anno in cui massima è l'attenzione che riesce a catalizzare. Giansante Tognarelli ha comandato la polizia stradale di Trento per 10 anni, prima della invidiatissima pensione del novembre 2020. Prima per 16 anni aveva retto il commissariato di Rovereto.

Alla luce della sua esperienza, condivide la preoccupazione del presidente Mattarella e ritiene opportuno un intervento come il suo?
«Non sono certo io a poter giudicare Mattarella, ma la mia opinione è che le sue parole siano state assolutamente appropriate. E ho apprezzato molto che si sia rivolto direttamente ai giovani: non sono solo loro a morire in strada, ma è un dato di fatto che gli incidenti stradali sono oggi la prima causa di morte per chi ha una età tra i 19 e i 25 anni. Ha stupito anche me sentire affrontare questo argomento nel discorso di chiusura dell'anno, ma questo ci dà la dimensione che ha assunto il fenomeno. E forse può servire per richiamare l'attenzione di tutti su un fenomeno che tutti deve preoccupare. Negli ultimi giorni di dicembre ci sono stati alcuni episodi gravissimi, con incidenti che hanno destato impressione per la perdita di vite di giovani e giovanissimi. Probabilmente questo ha spinto il Presidente a trattare questo tema: sapeva di rivolgersi a un'opinione pubblica sensibilizzata, più attenta del solito. Comunque, il suo è un appello che condivido in pieno».

Lei di prevenzione e sicurezza, anche nella divulgazione, si è occupato per anni. Possono servire gli appelli?
«Io penso di sì, perché l'unico modo per migliorare la sicurezza complessiva dei trasporti è la crescita di una consapevolezza collettiva: bisogna che l'attenzione di tutti sia puntata su questo perché cresca una mentalità diversa. Perché sia chiaro per ognuno cosa si rischia affrontando una strada, in macchina o in moto, senza l'assoluta attenzione necessaria o in condizioni non perfette. C'è una sottovalutazione collettiva dei rischi di una attività che per mille motivi, dei rischi li comporta sempre. Rischi che si ingigantiscono se non ci si mette alla guida con la necessaria consapevolezza».

In Trentino non abbiamo, almeno statisticamente, il problema della guida pericolosa nei centri urbani, causa di alcuni degli incidenti più gravi degli ultimi mesi in Italia. Ma abbiamo situazioni climatiche e orografiche che rendono spesso insidiosa la guida. Nella sua esperienza, quali sono le cause principali di incidenti che riguardano giovani o giovanissimi? Auto troppo veloci, inesperienza, sottovalutazione del rischio, abuso di sostanze…
«C'è un po' di tutto. È chiaro che in primo luogo servono strade in condizioni adeguate: è giusto pretenderle e è giustissimo da parte di tutti verificare che sia così. Ma è difficile assistere a incidenti per oggettive carenze delle strutture. È poi scontato sottolineare che chi si mette alla guida sotto l'effetto di alcol o di droghe rischia molto di più, per se stesso e per gli altri: è banale ma almeno penso che su questo non ci sia bisogno di sensibilizzare nessuno. Ma sarebbe un errore pensare che proprio alcol e droghe siano la causa della falcidie di giovani sulle strade: lo si sente dire spesso ma è un luogo comune che non ha alcuna fondatezza statistica. Non è così».

Tra l'altro è uno degli aspetti su cui più stretta è l'azione di controllo delle forze dell'ordine.
«È una delle cose sulle quali è possibile lavorare di più: condizioni delle strade, condizioni del veicolo e condizioni fisiche del guidatore sono le cose che si possono verificare. E sulle quali si lavora molto sul campo. Ma proprio quei controlli, assieme all'analisi degli incidenti, ci confermano che quello dell'alcol al volante non è un problema dei giovanissimi, almeno non loro più che delle altre classi di età. In verità la gran parte degli incidenti, quelli più gravi inclusi, sono causati semplicemente da disattenzione. E molto spesso, per non dire quasi sempre parlando di ragazzi, a provocare la disattenzione sono i telefoni cellulari. È un dato di fatto. Non è nemmeno tanto l'uso come telefono il problema, ma il fatto che i ragazzi vivono in uno stato di connessione perenne. E di fronte a un massaggio da leggere, un video appena ricevuto, un vocale da attivare smanettando, spesso non resistono. E si mettono a guardare lo smartphone quando non a scrivere per rispondere continuando a guidare. In quei momenti il rischio è massimo: nessuna capacità di rispondere a qualsiasi imprevisto quando non addirittura di tenere la strada. Questa è la causa della maggioranza degli incidenti. E per questo noi come forza pubblica possiamo poco o nulla. Per questo dicevo che è indispensabile una crescita di consapevolezza collettiva, una nuova cultura della sicurezza. Non sarà mai possibile mettere un poliziotto in ogni auto o ogni 100 metri di strada, a controllare che chi guida non si faccia distrarre».

E nemmeno si possono vietare i cellulari…
«Ci mancherebbe. Come tutte le tecnologie, ci hanno cambiato in meglio la vita. Ma tra tanti vantaggi, hanno anche aspetti negativi dei quali bisogna assumere consapevolezza. Vale per tutti, e per i ragazzi più che per chiunque altro proprio per l'uso totalizzante che ne fanno. La maggior parte degli incidenti che coinvolgono giovani e giovanissimi viene da lì».













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