il campione

«In America combatto con i miei idoli»

Il lottatore di Mezzocorona Marvin Vettori ha vinto il suo primo incontro negli Stati Uniti: la sua intervista al Trentino


di Paolo Tagliente


TRENTO. Marvin Vettori ha l’espressione sorridente e i modi gentili, quasi timidi, di un tranquillo ragazzo di 22 anni. Nonostante il suo metro e 84 di muscoli, si fatica a immaginarlo mentre sferra pugni e calci micidiali su un ring della Ultimate Fighting Championship, la più importante organizzazione al mondo di arti marziali miste. Quello che l’Nba sta al basket, insomma, tanto per avere un’idea della sua importanza.

Eppure Marvin, nato e cresciuto a Mezzocorona, non è solo un “fighter” dell’Ufc. No, Marvin è il secondo italiano della storia, dopo il romano Alessio Sakara, a combattere con la crème mondiale di questa durissima disciplina e addirittura a vincere, qualche giorno fa, il suo primo incontro. Lo ha fatto, battendo il brasiliano Alberto Uda, 32 anni, un metro e 90 di muscoli, esperto di Muay Thai e Jiu-Jitsu, con 9 incontri vinti e, prima di incontrare Marvin, solo una sconfitta. Un sogno che il giovane trentino ha inseguito per anni con determinazione e che ora si è avverato. Anche per questo, il suo nome di battaglia si discosta dai soliti, inquitanti come “il killer”, il “punitore”, l’ “uragano” o amenità varie. Marvin è “the Italian dream”, il sogno italiano. Normale chiedergli di parlare del suo sogno.

«A guardarlo ora è stato un percorso lungo. Ho iniziato a fare attività nelle palestre della mia zona, ma certo non era possibile pensare di arrivare ad alti livelli rimanendo in un piccolo paese come il mio. E così, concluse le scuole superiori, dopo circa un anno e mezzo di attività qui in zona, ho deciso di trasferirmi a Londra, dove sono rimasto due anni. Lavoravo come buttafuori e, intanto, mi allenavo in palestra il pomeriggio e la mattina. Dopo un po’ ho iniziato la mia carriera da professionista nella capitale inglese, vinco cinque match di fila, ma poi ne perdo uno».

Una sconfitta che segna una svolta, giusto?

«Sì, quella sconfitta mi ha insegnato molte cose, mi ha fatto maturare molto come fighter: sono tornato qui in Italia e ho iniziato a fare il Venator (il Venator Fc è la più importante organizzazione professionistica di arti marziali miste in Italia, ndr), allenandomi allo Stabile Fighting di Milano. E ho vinto il torneo. Dopo quel risultato ho capito che l’Italia mi stava stretta e sono andato ad allenarmi per tre mesi alla Kings, negli Stati Uniti, poi diventato il camp dove sono andato le ultime tre volte e andrò anche la prossima».

Dov’è la tua base negli Stati Uniti?

«La palestra si trova a Huntinghton Beach, ad Orange County, in California, e io vivo a circa 5 chilometri».

Come è stato l’arrivo negli States? Cosa hai pensato?

«Mi hanno accolto bene, era tutto nuovo, ma mi sono fatto rispettare. All’improvviso, mi sono trovato ad allenarmi fianco a fianco con campioni che prima avevo potuto ammirare solo nei video».

La domanda che si fa la gente comune è: a cosa pensa un ragazzo come te, chiuso in una gabbia, quando si trova davanti all’avversario?

«Per me ormai è un lavoro. Conosciamo l’avversario due mesi prima dell’incontro e, per quei due mesi, ti alleni per batterlo, studiando il suo stile e i suoi punti deboli. Quando ce l’ho di fronte, dopo tanto tempo, l’unico ostacolo vero sei te stesso. Quando entro so di poterlo battere e so quello che devo fare. Quando l’ho di fronte è una sorta di figura bianca, non importa che faccia abbia o a chi somigli. È solo un ostacolo che devo superare per andare avanti».

Paura del dolore? Paura di farsi male?

«Sono aspetti che possono condizionarti e, per questo, ho detto che l’unico ostacolo puoi essere te stesso. Se ti sei preparato bene, se riesci a controllarti e a usare l’energia nel modo giusto e sei convinto di poterlo battere, il problema non c’è più».

L’aspetto mentale, insomma, è importantissimo.

«Sicuramente. Non saprei fare una stima, ma la parte mentale conta molto. E poi, per me, ora è diventato un lavoro. Se un surfista vede un’onda enorme arrivare non pensa che possa fargli male, ma pensa a cavalcarla. Lo stesso vale per me».

A casa come vivono i tuoi match? C’è apprensione? I tuoi amici?

«Mio padre (che istruttore di Yoseikan Budo ndr) mi ha sempre supportato e appoggiato la mia scelta, soprattutto quando a capito che non era una febbre passeggera. Mia madre, invece, si preoccupa, ed è comprensibile, ma mi supporta anche lei. Gli amici fanno tutti il tifo per me».

Il prossimo match?

«Al momento devo stare fermo fino a ottobre. Ma spero di tornare a combattere entro la fine dell’anno».

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