Un’intera vita consacrata alla pittura
Gli 80 anni di Giorgio Perilli, circondato dai quadri: «I giovani artisti non seguano le mode, ma solo la propria ispirazione»
TRENTO. Una casa piena zeppa di quadri, i suoi. Pareti ricolme di ritratti, figure, nature morte, paesaggi, marine, vedute. Oltre sessant’anni di pittura dentro la villetta a lato della strada che sale al villaggio Sos di Gocciadoro. Il professor Giorgio Perilli, abruzzese d’origine ma dai primi anni Sessanta in Trentino, saggista, docente per decenni al liceo scientifico “Galilei” dove insegnava disegno e storia dell’arte, festeggia domani gli 80 anni. Portati gagliardamente. Chi se lo ricorda da prof e non l’ha più visto da allora non farebbe fatica a riconoscerlo adesso: stesso fisico asciutto e barba risorgimentale. E bene lo conoscono gli “alunni” dell’università popolare della terza età ai quali riserva ancora i suoi corsi di pittura fin da quando successe a Nicolò Rasmo, padre della storia dell’arte in Trentino. “Rigore e disciplina, ieri come oggi. Perché per fare l’artista bisogna studiare, sia che la disciplina la si pratichi che la si insegni”, premette Perilli.
Se la ricorda la prima volta che arrivò in Trentino?
Come no. Era il 1960, venni in villeggiatura. In seguito, dal 1962, prima insegnante in diverse scuole medie e poi al “Galilei”, per 25 anni. Ho iniziato ad insegnare in Abruzzo nel 1958 e lo faccio ancora alla “terza età”. I calcoli li faccia lei… Il primo trentino che ho conosciuto fu Dario Wolf (pittore considerato uno dei maggiori incisori italiani del secolo scorso, ndr), che era stato professore di mia moglie, trentina di Avio.
E la sua formazione artistica?
Mio padre mi diceva sempre: “Mai la pittura per professione, solo per diletto”. Così, all’inizio sono cresciuto da autodidatta e mi sono diplomato ragioniere. Poi, grazie a Federico Sportore, grande ritrattista, venni allo scoperto e presi il diploma all’istituto d’arte di Chieti, sezione ceramica. Seguirono corsi accademici privati, tipo “bottega”. Nasco ritrattista e ho sempre sognato l’arte sacra. Ma la Chiesa non mi ha mai affidato nulla, nonostante i complimenti…
In tanti anni di scuola avrà visto cambiare gli studenti.
Certo. Quelli che ho conosciuto nei primi anni erano spontanei, quelli che ho lasciato, alla fine, sembravano, forse, più “scafati”, più smaliziati.
Ai ragazzi che intendono dedicarsi all’arte che consiglia?
Di essere liberi, di non seguire le mode ma la propria ispirazione, anche se è una parola un po’ retorica. Ma, insomma, tanto per intenderci. Seguano la propria strada. Per carità, con il massimo rispetto dei maestri, sia chiaro, ma senza farsi tanto influenzare.
Dell’arte contemporanea che pensa?
L’ho studiata, mi sono aggiornato. Direi che ha accettato di lavorare con degli strumenti diciamo “aziendalisti”, è un linguaggio che non appartiene all’arte. Lo dico come pittore, come studioso cerco di essere più equidistante.
Qual è il suo rapporto con il mondo artistico trentino?
Qui si aprono pagine belle ma anche dolorose. Mi sono subito accorto che tra di loro gli artisti trentini non andavano d’accordo ed erano divisi. Ho cercato di essere equidistante dando, se richiesto, i miei consigli. Poi diciamo che ho dovuto pagare un tributo al “moderno” non seguendo io le mode. Ma ciò che mi ha addolorato di più è l’essermi reso conto che, nel corso del tempo, gli artisti trentini volevano essere sempre più protetti da mamma Provincia, purtroppo. E si sono sempre lamentati. Vogliono tutti andare al Mart, che è destinato ad altro, ai grandi. Personalmente, ho avuto diverse soddisfazioni, sia da parte di critici che operavano qui ma anche a livello nazionale. Ho fatto diverse mostre ma non ho mai chiesto nulla.
Però è un po’ di tempo che non si vede una sua mostra, che in passato sono state diverse, l’ultima nel 2000. E non c’è un catalogo generale del suo lavoro.
Me l’hanno domandato in tanti di ritornare a fare una mostra. Sul catalogo, per ora nessuno me l’ha chiesto. D’altronde, ho 80 anni, sono stato a servizio dei pittori trentini per anni riscoprendo Bonazza, Prati e altri attraverso i miei saggi. Ora non voglio più portare via spazio alla famiglia. Cosa vuole, mi sono sempre considerato un artigiano, uno che vede l’uomo e la donna non solo come un insieme di carne e muscoli, cerco di guardarvi dentro. Sarò fuori moda…