«Punti nascita, adesso basta giocare sulla sicurezza»

Mattedi (anestesisti): «La reperibilità provinciale? Non scherziamo. L’unico piano fattibile è quello di Ianeselli»


di Chiara Bert


TRENTO. «Non possiamo giocare sulla fortuna». Dice così il dottor Alberto Mattedi, responsabile sindacale dei medici anestesisti (Aaroi Emac), e si riferisce alla polemica riesplosa negli ultimi giorni sulla chiusura dei punti nascita periferici, che si intreccia con la nuova norma sul riposo obbligatorio dei medici. «Abbiamo avuto casi dove abbiamo trasportato i neonati in incubatrice e, per situazioni fortunate, ne siamo usciti bene. Ma non possiamo giocare sulla fortuna».

Il nuovo regime dei riposi (11 ore di stop tra un turno e l’altro) dovrebbe scattare dopodomani. In attesa di una deroga nazionale che tutti danno per scontata (ma che costerà all’Italia multe pesantissime da parte dell’Unione europea, e rinvierà, ancora una volta, il problema), l’assessore provinciale alla sanità Luca Zeni ha spiegato che l’Azienda sanitaria trentina intende far fronte alla novità con un meccanismo di «reperibilità provinciale» che riguarderà le figure mediche principali, a partire dagli anestesisti, «che si possono spostare velocemente per essere a disposizione di più ospedali, riducendo in questo modo il bisogno di medici in turno». Non saranno chiusi, ha assicurato l’assessore, i punti nascita di Tione, Cavalese e Arco, così come aveva ipotizzato tre giorni fa il direttore del Servizio ospedaliero Fernando Ianeselli in un documento che prevedeva la riduzione della chirurgia d’urgenza negli ospedali periferici (escluso Cles), documento che Azienda e assessorato hanno scartato giudicandolo «non percorribile».

«Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la soluzione di Ianeselli è l’unica fattibile - attacca Mattedi - ma i politici mi sembra che dicano altro». «Qualcuno mi spieghi cos’è la reperibilità provinciale», incalza, «significa che se sto a Trento vado a Tione, o mi faccio portare avanti e indietro con l’elicottero? E un neoassunto lo equipariamo a un medico esperto? Mi creda, io sono preoccupato per le coperture dei turni ma soprattutto per la sicurezza dei pazienti e dei miei colleghi». E per spiegare la sua preoccupazione, cita un caso recente: «Avevamo un paziente già sul letto operatorio per un intervento in urologia quando mi hanno chiamato per un cesareo di emergenza. Era una donna che aveva avuto un travaglio normale, poi un improvviso calo del battito del bimbo, due giri di cordone ombelicale attorno al collo. È nato e sta bene, e siamo tutti felicissimi. Ma racconto questo per dire che anche in un parto che sta andando benissimo, le cose possono girare improvvisamente. Capita, e a quel punto è una questione di minuti per evitare danni permanenti al neonato e alla mamma». «Ma lo sanno i sindaci, e i consiglieri provinciali, che negli ospedali periferici, se durante o dopo il parto interviene un’emorragia grave, non abbiamo un centro trasfusionale? Abbiamo sì delle sacche universali, ma con un rischio di incompatibilità legato ai sottogruppi sanguigni». «Per garantire lo stesso standard di sicurezza servirebbero due ginecologi, l’anestesista, lo strumentista per la sala operatoria, il personale di sala, l’infermiere. E visto il numero di parti nei punti nascita di periferia, la maggior parte del tempo l’équipe starebbe poi a girarsi i pollici». Mattedi contesta anche l’idea della Provincia di garantire la sicurezza attraverso un anestesista esperto neonatologo: «Una figura che non esiste. Se si tratta di rianimare un neonato, l’anestesista lo sa già fare. Ma altro è gestire un bambino che ha problemi importanti. Possiamo sempre trasportare un paziente critico, ma non è la stessa cosa che trattarlo in un centro adeguato». Sempre lì si torna, alla sicurezza: «Mi piacerebbe che i sindaci e i consiglieri che si battono per tenere aperti certi punti nascita si assumessero la responsabilità per lo meno morale di eventuali complicanze. Perché come sempre accade, le colpe finiranno sui medici, invece di dire che certe strutture dovrebbero essere chiuse».

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