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Ioppi: «Covid, la Cina torna a far paura»

Il presidente dell'Ordine dei medici trentini: «Con un milione di contagi e 5 mila morti al giorno potrebbe innescare una nuova ondata della pandemia anche in Europa»

IL MINISTERO. La circolare: dalle mascherine allo smartworking se la situazione peggiora


Luca Marsilli


TRENTO. «Penso che alla fine siamo in una specie di paradosso: chi gestisce la nostra sanità pubblica pretende di ottenere dai medici un atteggiamento da professionista, ma vuole anche trattarli da impiegati. Le due cose assieme non possono andare. E per questo la stanchezza e la demotivazione finiscono per avere la meglio, almeno su qualcuno. Che messo tutto assieme si fa due conti e decide che non vale la pena rinunciare alla propria vita familiare, a un minimo di tempo libero. E lascia l’Azienda per soluzioni lavorative meno impegnative o più gratificanti dal punto di vista economico. Questo vorrei che fosse affrontato con consapevolezza. Ma invece mi sembra che la politica e i vertici dell’Azienda da questo punto di vista non abbiano fatto il minimo passo avanti».

Il presidente dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi, è quasi stupito. «Ogni tanto si annunciano aperture e passaggi del tutto irrilevanti come fossero clamorosi e risolutivi. A me sembra che in verità tra Provincia e sindacati le distanze siano ancora quelle di un anno fa. Un dialogo tra sordi. Perché se da una parte riconosci l’impegno indefesso con cui in questi anni è stato affrontato il lavoro da parte dei medici, se ammetti che ci sono turni pesantissimi e una situazione di organici ormai incancrenita che costringe a sforzi senza precedenti per sostenere il sistema, non puoi poi non avere un atteggiamento coerente. E riconoscere per quanto puoi anche concretamente i meriti eccezionali che riconosci a parole. Con il Covid nella sanità, che si parli di ospedali o di medicina di base è lo stesso, è cambiato tutto. Ma non cambia l’atteggiamento di chi deve gestire il sistema. E non capisco. Se hai una manodopera che ti è cara, che stimi e che devi in qualche modo riconquistare per evitare altre defezioni difficilissime da tamponare, troverei normale che qualche sforzo in più si potesse mettere in campo. E anche che trovare un accordo diventi il primo pensiero di chi deve reggere la sanità provinciale. Invece l’impressione è che la trattativa sia vissuta come un fastidio e che prendere tempo, evitare i clamori dello scontro, sia l’unico vero obiettivo. Chiaro che così non si va da nessuna parte. E avrai altre persone che se ne andranno. E carichi di lavoro ancora meno sostenibili per quelle che sceglieranno di rimanere».

Tra l’altro, anche da parte dei pazienti si comincia a vedere qualche chiaro segnale di esasperazione. Tempi per le visite che si sono dilatati oltre il ragionevole, rinvii, disservizi. «È una situazione - dice Ioppi - che fa male a tutti. Ci sono medici che stanno facendo più di quanto sarebbe giusto chiedere loro. E ciò malgrado, la qualità del servizio offerto non è adeguata. Questo crea sfiducia nel cittadino, ma è anche fonte di gravissima frustrazione per il medico. Che vede risultati inadeguati corrispondere a uno sforzo straordinario. Il medico ha bisogno di essere rivalutato. Deve avere più autonomia e più responsabilità: tornare non solo a essere ma anche a sentirsi centrale nella sanità. E non un burocrate della medicina, un impiegato costretto a seguire indicazioni che non condivide e decisioni che ritiene sbagliate. Questo, prima ancora della parte economica, deve essere il fulcro del nuovo contratto. Perché senza questo cambiamento, con un ritorno all’idea di professione che poteva avere la mia generazione 30 anni fa, i problemi della sanità pubblica non si risolveranno mai. Non è quindi solo questione di soldi, che servono ma potrebbero non bastare».

Cambiando discorso. Da cittadini informati, si è un po’ disorientati dalla svolta nell’affrontare la pandemia decisa dalla Cina. Passata da restrizioni per noi impensabili a una libertà assoluta. Con effetti non ufficialmente certificati ma che si dice siano gravissimi sulla diffusione del contagio e sul suo impatto sulla popolazione. Da medici: siete preoccupati?

«Certo - risponde Ioppi - che siamo preoccupati. Preoccupatissimi. Tutte le epidemia arrivano dall’est. Lo stesso Covid è arrivato dalla Cina. Adesso dati non ufficiali parlano di un milione di contagiati e di 5.000 morti al giorno. Dati ufficiali non ce ne sono. Ma è evidente che in Cina si è passati alla totale apertura senza avere adottato strategie alternative. La vaccinazione è percentualmente non sufficiente e inoltre il loro vaccino pare avere una efficacia stimata tra il 40 e il 50 per cento, contro il più di 90 per cento di efficacia dei nostri. È chiaro che la situazione in quel Paese è radicalmente diversa. E che l’esplosione del Covid in Cina potrebbe avere ripercussioni anche da noi. Perché è vero che si è imposto il tampone a chi arriva da là, ma sappiamo per esperienza come bastino le normali triangolazioni delle rotte internazioni per rendere inefficacie questa misura. Servirebbe almeno uno sforzo internazionale per avere la certezza che chiunque arrivi dalla Cina sia sottoposto al tampone molecolare. E non è detto affatto che potrebbe bastare».

Quest’anno anche l’influenza si sta mostrando la più pesante e contagiosa degli ultimi decenni. Se si potesse metterlo sul conto di qualcuno, ormai si parlerebbe di accanimento. «Vero che anche l’influenza sta colpendo molto duro. E non siamo ancora fuori dalla pandemia di cui temiamo anzi recrudescenze. Io però penso anche che sia una situazione con la quale dobbiamo imparare a convivere. Ci sono misure, come l’uso della mascherina, l’evitare gli assembramenti, l’igiene personale, che dovranno diventare la normalità. Senza drammi o isterie: normale profilassi. E poi dovremo approfittare delle vaccinazioni: siamo dei privilegiati, a poterle avere e avere gratis. È vero che c’è un rischio, come in ogni comportamento e fatto umano. Ma il calcolo di benefici e rischi è enormemente a vantaggio dei vaccini. È molto più rischioso, percentualmente, scendere le scale o prendere la macchina. Invece verso i vaccini siamo arrivati a una sorta di paura ideologica. Alimentata da persone di scienza che fomentano le paure della gente, pur avendo i mezzi per comprendere quanto sbagliato sia quello che sostengono. In questo disastro, loro sono i meno perdonabili di tutti».













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