l'intervista

"Io, Arno e l'autonomia"

Il presidente trentino Ugo Rossi a cuore aperto


di Alberto Faustini


TRENTO. Mi chiedevo dove fosse sparito il presidente Rossi. È stato malato, certo. Ma la sua assenza s’è notata. Assenza pesante, insomma. C’era un unico modo per saperne di più. Incontrarlo. Per parlare di lui, del suo rapporto con il presidente altoatesino Kompatscher, di autonomia del futuro, di Provincia, di Regione, della delusione di Amatrice, del Patt e di molto altro.

Presidente, dov’è sparito?

Non sono sparito. Sono stato malato 15 giorni. Ora sto bene. Mi sono rimesso in sella. Da ogni punto di vista, considerato che ho anche ripreso in mano la bicicletta e che ho fatto persino lo Stelvio. Se non ci si cura, bisogna fermarsi.

Stelvio inteso come metafora politica delle vette che deve scalare in questa stagione complicata?

No, no. L’ho fatto proprio in bici: per rimettermi in forma.

Parliamo subito di Amatrice.

Puntare sulla scuola - mi dice il governatore trentino con un sorriso a denti stretti - rende così bene, in termini di immagine, che la Ferrari ci ha imitato. Siamo un po’ sorpresi e anche sconcertati. Con i problemi che ci sono ad Amatrice la scuola che abbiamo costruito, una struttura che avrebbe potuto reggere 15 anni, poteva restare. Anche se la Ferrari realizzerà una scuola molto più grande che attirerà anche gli studenti di altre zone. L’idea, come mi ha detto il commissario per la ricostruzione Errani, è comunque quella di riutilizzare quella struttura altrove.

Il messaggio è però  molto brutto.

A Errani abbiamo manifestato tutto il nostro disagio. In un altro contesto forse avrebbero preso decisioni diverse disponendo dei 7 milioni della Ferrari. Cercheremo di metterla in positivo.

E adesso?

Stiamo lavorando a Camerino insieme all’Alto Adige e al Tirolo, come Euregio, per rimettere in piedi l’Università. Un grande investimento, anche in termini culturali: perché la scuola e l’università lanciano messaggi di grandi speranza.

A proposito di “investimenti”: il suo Patt sembra passato dall’essere una nave ammiraglia ad una scialuppa di salvataggio.

Sono nel Patt da ormai una quindicina d’anni. Ho fatto tutta la trafila. E ho fatto anche una cosa molto importante: ho contribuito a riportalo nell’ambito dell’autonomismo doc, che è quello del rapporto con la Svp. E mi sono impegnato per farlo tornare, da protagonista, nel centrosinistra. Un tempo - continua il presidente trentino Rossi - il Patt era un aggettivo, per la coalizione. Oggi è un sostantivo. E in questi anni i commentatori hanno sempre prefigurato lamorte del Patt alla luce delle varie diaspore. Ma il Patt è sempre rimasto vivo, con consensi in continua crescita.

I fuoriusciti non le fanno venirenemmeno l’orticaria?

Faccio loro i migliori auguri. L’ho detto tante volte anche a Walter Kaswalder: se non ti senti in linea col partito, è giusto che tu esprima quello che hai dentro. Ma l’autonomismo di oggi non può rincorrere la demagogia.C’è fral’altro chi la rincorre meglio, la demagogia. Io rispetto le scelte di chi è uscito. Ma sono certo che questo tipo di avventure non abbiano un futuro. Il tema è un altro.

Quale?

Come intercettare ancora, attraverso lo strumento dei partiti, non tanto le esigenze delle persone,che si intercettano amministrando e dando risposte ai cittadini ogni giorno, quanto il senso di appartenenza ad un destino comune dell’autonomia. Questa difficoltà riguarda tutti. Partiti e cittadini. Perché tutti dobbiamo ritrovare questo senso d’appartenenza ecapireil valoredell’autonomia.

Ma come sta, vista dal ponte di comando del Trentino, l’autonomia?

Ha davanti una grande occasione. Quella di aver imparato, in questa legislatura, che si può comunque fare, anche senza esagerare nella spesa. Questa abitudine alla sobrietà e a non poter contare su risorse infinite è chiara a molti, anche fra gli amministratorilocali.

Mi sta dicendo che i sindaci non arrivano più in Provincia con il cappello in mano?

Una cosa è certa: non s’aspettano più che la Provincia faccia tutto. La crisi ci consegna questo fatto positivo. Dal punto di vista della percezione esterna, credo che dobbiamo invece evitare di fare i primi della classe. Spesso ci poniamo come tali, propagandando ciò che facciamo di buono. Ma passa solo l’idea che tutto questo si possa fare perché abbiamo più risorse e quando ci mettiamo a dare spiegazioni - che vanno date, intendiamoci - finiamo con l’alimentarelo scetticismo.Dobbiamo invece impostare  un’operazione simpatia.

Come?E ne avete parlato anche con i “cugini” di Bolzano?

Sì,il tema riguarda anche Bolzano. Dobbiamo allacciare relazioni nazionali e internazionali, anchedi alto livello. Io ci ho provato. Ma ho avvertito un po’ di provincialismo.

Mi faccia un esempio di provincialismo. 

Il centro studi sull’autonomia poteva essere una risposta. È stato concepito come struttura in grado lavorare in tempo reale per promuovere l’autonomia e per affrontare le difficoltà che l’autonomia ha nella percezione esterna:dei media,delle altre istituzioni,del comune sentire. Si temeva il solito carrozzone. L’operazione era ben diversa, ma non è stata capita.Penso poi all’internazionalizzazione: contrariamente a Bolzano, che ha indubbiamente anche il vantaggio delle due lingue, facciamo spesso fatica a portare fuori un’immagine ben definita dell’autonomia.Stiamo lavorando su quella che i tecnici chiamano la “brandizzazione”, sul nostro modo di presentarci all’esterno. Si deve cogliere che accanto alla parola autonomia c’è un sistema. Ma c’è ancora molto da fare. Noi trentini siamo un po’ brontoloni. Dobbiamo però essere consapevoli di ciò che abbiamo, trasmettendo anche all’esterno ottimismo. Il turismo va bene. L’impresa, al netto di un’edilizia che era sovradimensionata,è ripartita.

Ma non siete più simpatici.

Guardi, le proposte di abolizione delle autonomie ci sono sempre state.Ma sono cambiati i tempi. Quando la spesa pubblica cresceva per tutti, andava bene a tutti. Poi, in particolare con il governo Monti, sono arrivati i tagli e io e Kompatscher abbiamo portato a casa le clausole di salvaguardia.Un grande risultato, perché noi non siamo stati toccati sotto il profilo formale, ma il clima è pesante. Ci siamo anche impegnati per cambiare il clima, ma questi temi vanno portati e affrontati fuori dal Trentino. I nostri parlamentari devono aiutarci in modo diverso, contribuendo alla costruzione di un’idea positiva del federalismo.  Serve della sana utopia.

La Svp e gli altoatesini sono più bravi?

Hanno certamente una delegazione parlamentare compatta che si muove in un certo modo. Ma Bolzano e (soprattutto) Kompatscher hanno capito che conviene anche a loro che ci siaTrento. L’ha detto a chiare lettere anche il presidente Mattarella.

Però sfasciate la Regione.

Ci vuole una logica regionale innovativa. Non possiamo pensare di fare un passo indietro per essere più tutelati dentro una Regione unica. Dobbiamo sfidare l’Alto Adige per cercare, insieme,di essere innovativi sulla Regione. Le faccio qualche esempio:sui trasporti possiamo muoverci e decidere in ambito regionale, sulla previdenza o anche sulla sanità,oltre certi livelli, possiamo impegnarci in ambito regionale. E così sui rapporti con l’Europa e su altri temi che dobbiamo riportare nell’alveo regionale.

Ma i percorsi poi sono sempre due. Per ripensare lo Statuto, ed è solo l’ultimo caso, si sono scelti due strade diverse: la Consulta da una parte e la Convenzione dall’altra. E i due “motori” sembrano fra l’altro essersi già arenati.

Evidentemente l’esito del referendum ha depotenziato l’effetto immediato di questi due organismi.Ma vale la pena di fare una riflessione sull’autonomia del domani. E non credo che Convenzione e  Consulta falliranno. In Trentino c’è maggior partecipazione ed è importante aver piena consapevolezza dei punti sul tappeto: sia di quelli di forza,sia di quell icritici. Serve ritrovare anche un po’ di orgoglio e di identità. È necessario anche per la classe politica che verrà dopo.Ed è giusto avere una direzione di marcia chiara rispetto a ciò che intendiamo realizzare nei rapporti con lo Stato.

Parliamo di terzo Statuto.

Se ci fosse un preambolo che richiama anche a livello statutario gli accordi internazionali e le fondamenta della specialità non sarebbe male. La seconda via è quella di avere una Regione snella e innovativa, con una governance e una produzione legislativa più agili per gestire gli aspetti che dobbiamo seguire insieme,dalla giustizia in poi.

La staffetta (fra lei e Kompatscher alla guida della Regione) è la risposta o è il problema che blocca la Regione?

In questa fase è stata la risposta. Non c’è dubbio. E funziona. Perché permette di sposare immediatamente, rispetto alle esigenze di rapporto con lo Stato, il volere delle due Province.

Tipo?

Abbiamo appena scritto insieme al ministro Minniti, a proposito dei Cie, per dire che noi ci siamo e che non diciamo di no, perché è giusto che queste persone vengano identificate e rimpatriate se non hanno diritto di restare, purché facciano presto anche aidentificare chi ha diritto di restare.Ora vogliamo capire i criteri: quanti ne arriveranno,chi paga, chi garantiscela sicurezza... Io e Arno Kompatscher abbiamo fatto tutto insieme nel giro di un quarto d’ora.

Si farà al confine, il Cie?

Tutti parlano di Roveré della Luna perché è in mezzo all edue province, ma quella struttura non è nemmeno nostra e nessuno ci ha detto nulla di preciso. Non c’è niente di automatico.

L’hanno colpita gli attentati, inTrentino,contro i profughi.

Non mi aspettavo quei gesti. E ci sono francamente rimasto molto male. Anche perché la realtà dimostra che non ci sono stati problemi. Semmai, è d’altro tipo l’immigrazione che crea criticità. Non dobbiamo mettere comunque la testa sotto la sabbia. Vanno invece gestite queste situazioni al meglio, come ha fatto la Germania.

Torno per un istante a Kompatscher: come sono i vostri rapporti?

Lui, di recente,mi ha detto che viene volentieri a Trento. Con Arno ci sentiamo ogni due o tre giorni. Anche di più.

Uso una parola impegnativa:siete amici?

È un rapporto di grande lealtà. Ci siamo visti addirittura prima di fare le primarie. Mi ha sempre dimostrato di essere una persona di parola. Naturalmente porta avanti in modo convinto le sue istanze e su alcune cose non è certo facile farlo indietreggiare,ma anch’io sono così. E, specialmente quando ci siamo mossi nei rapporti con Roma,c’è stata grande sintonia. Lui indubbiamente ha più facilità quando si tratta di interloquire col governo, ma non ne ha mai fatto una questione di vantaggio solo per l’Alto Adige. Io credo di avergli fatto un favore cominciando per primo a guidare la Regione, così ha avuto il tempo per acquisire il mestiere. Gli ho dato una mano, insomma. C’è pure un piano personale: ci parliamo anche delle nostre gioie e dei nostri dolori.

Cosa invidia agli altoatesini?

Un’agricoltura al servizio del territorio, che dà un enorme vantaggio competitivo al turismo. E la conoscenza delle lingue, che si riflette anche sulle imprese. Io non metto i pantaloni di pelle,ma su certe cose bisognerebbe riflettere.

In questi giorni ha colpito il suo litigio con l’assessora Ferrari e il fatto che in Trentino non decolli mai la legge per garantire una presenza maggiore di donne in politica.

Francamente non assocerei le due cose. Sono capitate negli stessi giorni, però. Quando si è in giunta parlo allo stesso modo con una donna e con un uomo. Se devo uscire a cena è un’altra cosa. Quando si lavora bisogna invece dirsi le cose e poi finirla lì. Sulla legge dico solo che è nel mio programma: si parla con chiarezza di doppia preferenza di genere. Questo programma ha preso il 60 per cento dei voti alle elezioni e non vedoperché,inunademocrazia che funziona, non si possa, pur conmediazioni e aggiustamenti, varare una legge prevista nel programma. La responsabilità deve prendersela chi fa ostruzionismo.

Non arriverà mai in porto, comunque, questa legge.

Ho più di un dubbio. Ed è un paradosso: perché è una legge condivisa anche da parte della minoranza.

Parliamo di lei. Si continua a dire che potrebbe non restare qui nel suo ufficio di piazza Dante. Del reso lei, come Kompatscher, ha sempre detto che può lasciare questo posto in ogni momento.

Io ho detto chiaramente che non sono interessato ad andare a Roma. Non ho intenzione di interrompere un mandato che voglio finire nel miglior modo possibile, cercando di favorire in questo periodo le condizioni perché il centrosinistra autonomista sia una formula proponibile, seppur con aggiornamenti, anche la prossima volta. Dobbiamo combattere con un nemico politico che non è così identificabile e usciamo da una fase in cui chi governa, in tutta Europa, non è mai favorito. E dobbiamo tenerne conto. Ilcentrosinistra autonomista resta la formula migliore per un’autonomia che sia aperta e che però ora deve creare le condizioniperprodurrepiùautonomiaancheneicorpi sociali e meno dipendenza dalla Provincia.

E dunque?

Se si creano queste condizioni sono l’uomo più felice del mondo. E siccome io sono il frutto di primarie penso che il metodo con cui scegliere chi deve guidare la coalizione, anche aggiornata, spetti ai partiti, che devono recuperare un ruolo,decidendo se vogliono confermare, se vogliono usare il metodo dell’altra volta o se vogliono usare un altro metodo. Io sto qui con serenità: disposto a fare ciò che i partiti mi chiederanno di fare. Ripeto: il primato deve tornare ad essere dei partiti. Serve un supplemento di responsabilità e non può passare l’idea che ci sia una continuità legata all’esercizio del potere. Se facciamo passare quest’idea, non riusciremo mai a parlare a quegli elettori ai quali non siamo riusciti a parlare già in alcune occasioni. Non è più il tempo delleaderche tira tutto.

Portare il presidente uscente alle primarie significa però indebolirlo, per non dir di peggio.

Questo può essere un rischio, ma non può passare l’idea che ci sia una sorta di opa lanciata da chi è già seduto qui.

Cosa vuol dire coalizione aggiornata?

È innegabile che un po’ di spazio oggi venga occupato da chi porta avanti un’idea che nasce all’esterno dei partiti. La nostra coalizione ha comunque dentro due partiti d’ispirazione civica e non ideologica e leideologie oggi sono sempre più blande. Un dialogo con i cittadini che rappresentano queste esigenze va costruito. La presenza di Daldoss in giunta, assessore tecnicochehacercato dicostruire anche un afflatodi tipopolitico, è emblematica: lui può costruire, anche con canali diversi, una condivisione di esigenze che arrivano dall’esterno e che vannoperò portatedentrola coalizione.

Ma lui talvolta sembra pensare ad un disegno autonomo.

Le ambizioni dei singoli non le voglio mai comprimere. Ma sono certo che si ragioni insieme, all’interno del centrosinistra autonomista.

Cosa deve fare, ancora, la Provincia? E lei, cosa non ha fatto?

Prima do una risposta politica: non sono riuscito a fare il partito territoriale trentino. Anzi:non siamo riusciti a farlo.Perché non c’è riuscito nemmeno Dellai. E penso abbia un analogo rammarico. Non è una sconfitta, ma un obiettivo mancato. Resto comunque convinto del fatto che si debba assolutamente fare. In Trentino va poi riscritto il patto di sistema con la classe imprenditoriale, con la cooperazione, con i corpi sociali rispetto a una logica di sistema.

Fuor di politichese.

Il Trentino è ancora troppo frammentato. E fatica ad essere sul globale. Ci sarà stata anche qualche forzatura sul tema delle lingue, ma scontiamo venti, venticinque anni di ritardo. Il tema non è solo imparare la lingua, ma riuscire ad essere globali. L’imprenditore altoatesino, di qualsiasi tipo, quando parte ha già due mercati di riferimento. In Trentino ci sono però delle buone condizioni, anche grazie ad un’università che aiuta e aiuterà sempre di più. Ma serve un salto.

Mi diceva della cooperazione.

Dobbiamo sederci attorno a un tavolo e disegnare traiettorie insieme. La questione del creditomi pare che si sia incamminata nel verso giusto, ma rischia di mettere in difficoltà il senso stesso della cooperazione, che in questi anni è diventata come la Provincia:una macchina un po’ sovradimensionata, anche se la Provincia ha fatto dei tagli oggettivi. Bisognerà ragionare anche sulla sorveglianza: noi non dobbiamo essere visti come carabinieri, ma qualcosa va fatto. La Cooperazione deve trasmettere l’idea che essere un’impresa di tipo diverso implica comunque il fatto di restare impresa. 

La preoccupano le inchieste della magistratura?

Non c’è niente da tirar fuori. Non sono per nulla preoccupato.

Si riconosce qualche pregio e qualche difetto?

Il pregio? Ci metto la faccia, parlo chiaro e non mi nascondo. I difetti? Mi sono buttato a capofitto sulle questioni da affrontare e non ho coltivato i rapporti anche di tipo politico e personale che ti consentono di arrivare al risultato. Ho dato per scontato che ci fosse condivisione sulla direzione di marcia.

Dicono però che sia anche permaloso, proprio come Kompatscher (che parlandomi lo ha ammesso).

Mi scoccio se mi dicono una roba. Ma non porto mai rancore.

Lo rifarebbe? Tornando indietro farebbe ciò che ha fatto?

Certi giorni mi faccio questa domanda. Ma mi rispondo sempre allo stesso modo: sì, lo rifarei.













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