Francesco: «Sono rinato grazie allo sport»

Il diciottenne paralizzato dopo un volo di 11 metri in parete si è diplomato a luglio Ora pratica sci alpino e nuoto. «Il mio sogno è comprare una hand-bike»


di Massimiliano Bona


TRENTO. Chiacchierando con Francesco Torella, il ragazzo (oggi diciannovenne), che nel febbraio 2012 è caduto dalla parete del Salewa Cube restando paralizzato alle gambe, si ha subito l'impressione di avere di fronte una persona piena di energia, capace di sorridere alla vita a prescindere da quello che il destino gli ha riservato. Viene in mente Jovanotti con il suo celebre ritornello «Penso positivo perché son vivo...».

Dell'incidente, a cui ha assistito senza poter fare nulla la sua fidanzata Sara, sollevata da terra per la differenza di peso ma che si è bruciata le mani nel disperato tentativo di bloccare la corda, Francesco non parla volentieri. Ha chiuso quell'episodio, tragico, della sua vita in un cassetto che riapre solo quando serve e solo per pochi istanti. Il 2013 per Francesco è stato un anno positivo: a luglio si è diplomato al liceo di scienze sociali con un buon punteggio (83/100) e adesso si è iscritto a informatica all'Università di Trento. Ma nella sua nuova vita occupa un posto fondamentale anche lo sport, in particolare lo sci (fa discesa) e il nuoto. Nonostante i problemi agli arti inferiori è indipendente e si muove in auto. «Ci metto solamente il doppio di prima», scherza Francesco con un'ironia che lo rende ancora più simpatico. E soprattutto vero.

Francesco, complimenti per questa nuova vita e per la maturità intanto.

«Grazie, dall'incidente ormai è passato tanto tempo (in realtà solo 19 mesi ndr) e mi piace guardare avanti. Dopo il diploma al liceo penso all'università e all'idea di farmi una vita con la mia ragazza, Sara. Di quell'episodio preferiamo semplicemente non parlare, nemmeno fra noi. Lo abbiamo messo da parte».

La tua tesina sulla disabilità ha colpito molti. Ce ne vuoi parlare?

«Il titolo, forse un po' banale, era "Disabile, nient'altro che un uomo". Il messaggio che ho voluto lanciare, soprattutto dopo aver conosciuto ragazzi con vari handicap, anche molto più gravi del mio, è che non ci serve la compassione. Siamo persone come tutte le altre, né più né meno. Ritengo non ci debba essere spazio per le discriminazioni o anche per chi ti chiama semplicemente “poreto”. Abbiamo una gran voglia di vivere, come tutti gli altri. O forse anche più di tanti altri».

Giusto. Ma c'è qualcosa che ti pesa in particolare in questa nuova vita?

«Certo. Non poter correre o muovermi come facevo prima. Ho dei limiti oggettivi con i quali ho imparato a confrontarmi quotidianamente».

Ma sei autosufficiente?

«Si, giro con dei tutori che mi bloccano le caviglie. Ma per il resto mi muovo da solo. A cambiare, rispetto a una volta, sono solamente i tempi. So che ci metto di più ma tutto si può fare».

Anche dopo l'incidente sei rimasto un grande appassionato di sport. Quali pratichi?

«Lo sci, con l'ausilio di un particolare attrezzo per disabili, e il nuoto. Ma sto già guardando avanti».

In che senso?

«Sto pensando seriamente di comprare una hand-bike».

Come quella dell'ex pilota di Formula 1 Zanardi?

«Esattamente. Ho una gran voglia di provarla».

Lo sport ti ha aiutato a trovare nuovi stimoli nell'ultimo anno e mezzo?

«Si, è stato fondamentale perché mi ha permesso di conoscere decine di disabili, come me. Siamo accomunati da una passione forte che ci spinge a guardare oltre il nostro handicap fisico».

Sai già, invece, che professione ti piacerebbe fare nella vita? L'informatico?

«Sono ancora aperto a diverse soluzioni. Potrei fare il tecnico come il programmatore, non ho ancora deciso esattamente. Ma so che voglio costruirmi una vita. Con la fisioterapia sono migliorato molto e credo si possa fare ancora di più».

La tua forza sembra essere quella di riuscire a pensare positivo. Sempre.

«Sì, perché non voglio fare pena a nessuno».

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