Due bimbi «stranieri» a cavallo del 2015

Alle 19.34 del 31 è arrivata Catalina, figlia di genitori moldavi, alle 3.11 dell'1 gennaio Vasilii, con radici ucraine


di Luca Marognoli


TRENTO. Tutti e due di origine straniera. Il primo nato del 2015 in Trentino è Vasilii, venuto al mondo 11 minuti dopo le 3 al Santa Chiara di Trento. Pesa 4 chili e 100 grammi. Felicissimi i genitori, di origine ucraina, e la sorellina di due anni. L'ultima del 2014 invece è una bambina, Catalina, nata da una famiglia moldava sempre all'ospedale di Trento alle 19.34.

A Rovereto il primo parto è avvenuto alle 3.19 (solo 8 minuti dopo quello di Vasilii), ad Arco alle 4.41 e a Cles alle 6.09.

In Trentino nel 2014 i nati sono stati 4.580, dei quali 1.092 da genitori extracomunitari.

Marco Ioppi, capo del dipartimento Materno infantile dell’Apss, commenta: «Quello degli extracomunitari è un dato che salta subito all'occhio: sono addirittura il 28% in val di Non, il 25% a Tione, il 23% nel Basso Trentino, il 25% al Santa Chiara e il 15% a Cavalese, dove ci sono più persone che non portano su la famiglia e venendo dal Maghreb ci possono avere grossi problemi legati al freddo. Molti oggi provengono da India e Pakistan: fino all’anno scorso avevamo molti paesi dell'ex cortina di ferro, come la Moldavia, che non erano ancora comunitari. Se si considerano gli stranieri in generale (anche Ue, ndr), sono oltre un quarto».

Difficoltà organizzative. Il fenomeno non è privo di implicazioni sul sistema sanitario: «La lingua italiana? Ce ne sono alcuni che non sanno una parola, soprattutto le donne, che quindi si appoggiano al marito, che parla qualcosa o al mediatore culturale presente in tutti gli ospedali, almeno su chiamata». Le tradizioni hanno un impatto notevole: «Hanno un’alimentazione e abitudini diverse dalla nostra. Alcune donne, che provengono da Pakistan o Maghreb, non vogliono essere visitate e partorire se non in presenza di medici e operatori donne. Questo ci costringe da una parte ad organizzarci, dall'altra ci spinge ad imporre una certa fermezza affinché queste persone siano spinte ad adattarsi alle regole dei paesi in cui vengono a vivere. Sono convinto che dobbiamo aiutarle ma nel limite del possibile e se ciò non è oneroso e non cozza contro un'organizzazione che non ha nulla da rimproverarsi. I nostri immigrati non avevano queste pretese. Non devono essere loro a dettare le regole, correndo inoltre il rischio che non vengano accettati e suscitino mal di pancia in certe parti della popolazione che vadano a fare torto alla nostra cultura di solidarietà».

I punti nascita. «Il calo delle nascite ha evidenziato la situazione di quelli che hanno un numero estremamente esiguo. In un anno - dice Ioppi - Cles ha perso 50 nati (432 il totale), il 10%, Arco 103 (384), il 20%, Cavalese 4 unità (259), con buona pace di chi dice che c'è un tentativo di smantellare l'ospedale mentre ciò dimostra una fidelizzazione innegabile, Tione infine 40 (137), quasi il 25%».

I parti cesarei. Sono un indicatore significativo: «A Tione ne hanno fatti 31 e ci sono 5 medici. Chi dovrà decidere dovrà pensare alla “teoria della crostata”: credo che faccia la migliore chi ne sa di più. Per questioni di esperienza, manualità, capacità di prendere decisioni in tempi rapidissimi». In gioco c’è la sicurezza. «Va considerato che dove ci sono meno parti, registriamo più cesarei: vuol dire che sono originati non da motivi clinici ma perché considerati una scorciatoia. Sono il 27% a Cavalese, lo stesso ad Arco, mentre a Tione sono calati da quando ha preso la responsabilità Trento perché è stato fatto un lavoro di maggiore appropriatezza. Le migliori condizioni ci sono a Rovereto, con il 20%, e Cles, con il 18%: ciò anche per la presenza continuativa di medico anestesista, ginecologo e pediatra, l’esistenza di una sala operatoria nel caso di urgenze e del centro trasfusionale per le emorragie post-parto. A prescrivere questi criteri è l'Accordo Stato-Regioni, sottoscritto dal 2010 ogni anno ma che deve ancora ricevere attuazione. Il 29% del S.Chiara non fa testo perché lì si concentra tutta la patologia, ma in periferia non dovrebbe avvenire».

Il parto indolore. «È ottenibile sempre su richiesta solo a Cles, a Trento e Rovereto sempre ma secondo le esigenze cliniche, negli altri ospedali periferici solo in determinate ore dei giorni feriali e non la notte. Come si può notare, c'è una distribuzione dei servizi che è molto polimorfa...».

Gli specialisti. «I ginecologi ospedalieri sono 20 al S. Chiara, 10 a Rovereto, 6-7 a Cles, 6 a Tione, 6 a Cavalese, 6-7 Arco. Ma abbiamo difficoltà a reperire specialisti che vadano nelle sedi periferiche. Questo rende poco attrattivo il Trentino: non c'è nessuno che voglia lavorare dove c'è una bassissima casistica. Quindi abbiamo un alto turnover e spendiamo tantissime energie per prepararli e poi se ne vanno».

I punti nascita sub iudice. «Tutti i periferici eccetto Cles sono sotto esame. Sia chiaro: non vogliamo la chiusura di nessun punto nascita ma che quelli che il legislatore decide di tenere aperti offrano garanzie per tutti: per la paziente e per gli operatori. Non per nulla il direttore del distretto di Bolzano, di fronte all'inadempienza della giunta, un mese fa si è rivolto alla Procura. Siamo sul filo di una lama del rasoio. È giusto che ognuno faccia quello che deve fare: i medici non possono essere responsabili di inadempienze organizzative che non dipendono da loro».













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