«Anziani, il futuro è una rete solidale»

Il direttore della Civica di Trento, Mario Chini, guarda alle esperienze emiliane e finlandesi basate sul «social housing»


di Luca Marognoli


TRENTO. Condomini e quartieri solidali come in Emilia e in Finlandia. Alloggi protetti. Nuove forme di “presa in carico” collettiva degli anziani che coinvolgano le associazioni, il vicinato e la rete di servizi territoriali.

L’assistenza agli anziani va in questa direzione e sorprende positivamente che a parlarne sia il direttore della “Civica di Trento”. Che non è solo quella che chiamiamo “casa di riposo”, ma anche molto altro. A cominciare dai tanti progetti innovativi che spingono Mario Chini a considerare le liste d’attesa come una questione non più centrale.

Direttore, c'è davvero un problema di scarsità di posti? Giacomelli dell'Upipa parlava di mille persone in lista di attesa...

Le liste di attesa ci sono, ma ciò è molto relativo. Tutto è collegato a come affronteremo il prossimo futuro, cercando di intervenire a livello territoriale e di strutture semiresidenziali, per garantire un'offerta elastica e servizi in grado di rispondere a esigenze e difficoltà diverse. Noi qui lo stiamo già facendo.

Qualche esempio?

Quando hai a casa un anziano disorientato o con sclerosi di cui “non ti puoi fidare” e i figli lavorano, esiste un problema. Non puoi risolverlo con delle persone che ti portano il pasto o con altri servizi che ci sono già. Abbiamo partecipato a un'ipotesi progettuale del Fse, una specie di grande fratello al quadrato, con telecamere e una serie di sensori che fanno scattare un allarme se uno si avvicina alla finestra o cade per terra. È una frontiera del nuovo welfare, che dobbiamo iniziare a percorrere, sfruttando la banda larga che arriva dovunque. Su questa base puoi attivare poi centri di servizi, dove rivolgersi perché la persona venga assistita e accudita anche la notte.

A che conclusione vuole arrivare?

Che non servono chissà quanti posti letto: anzi, in Trentino siamo sotto certi aspetti sovradimensionati. Dobbiamo investire sui servizi sul territorio e sulle reti, anche amicali, mantenendo la persona nel suo ambiente. La vera frontiera è questa. Abbiamo buonissime strutture, ma l'istituzionalizzazione porta inevitabilmente a uno sradicamento.

Occello della coop Fai ci parlava proprio di questo: il servizio pubblico deve integrarsi con associazioni che agiscono su base volontaria e gratuita.

Certo, dobbiamo creare una sensibilità e una cultura nuove. Bisogna dare contenuto alla rete: la presa in carico è decisiva, non basta erogare il contributo. Noi trentini siamo più rivolti al nord: a Helsinki, dove sono andato, il quartiere, la famiglia, i vicini contribuiscono non perché obbligati ma perché fa parte di una cultura di cittadinanza che là danno per scontata. Non vuol dire sostituire i servizi, ma “contribuire” ad essi. Affrontando le situazioni di disagio che hai fuori di casa. Io a questa prospettiva credo davvero.

Trepin della Acli dice che la Rsa è l'ultima spiaggia. Prima bisogna puntare sui servizi domiciliari. È d'accordo?

Il mio programma è proprio di metterci a disposizione. Non solo come assistenza agli anziani ma come spalla per il territorio. La Civica ha quattro Rsa e una piccola casa di soggiorno per le persone che hanno difficoltà non solo sanitarie ma anche socioassistenziali, inviateci dal Comune, dove si fa più un'azione di supporto che di cura. Poi c'è il centro diurno Alzheimer: noi andiamo a prendere la persona in relazione all'esigenza, quando la famiglia ha bisogno, anche per poche ore e possiamo dare consigli su come seguirla al meglio. Abbiamo anche venti alloggi protetti: una situazione abitativa, dove c'è la possibilità di avere servizi di pulizie, i pasti e soprattutto un operatore di riferimento che interviene se ci sono dei problemi, anche solo per fare la spesa. Io ho in mente poi - e l'ho detto al Comune - di cominciare a lavorare sui condomini solidali. Offrono un contesto di normale abitazione, dove tre appartamenti magari li dai agli anziani e uno a una famiglia che paga un canone moderato e si prende in carico la soluzione di problemi vari. A Modena questa è una realtà diffusa.

Proprio ieri abbiamo raccontato della Casa alla Vela della coop Sad, dove convivono anziani e giovani. Pensa a formule analoghe?

Simili: è una prospettiva che si può sviluppare. Se noi attiviamo queste azioni, non è necessario creare altri mille posti letto. Quest'ultima è “una” cosa da fare, ma non l'unica. So che i parenti soffrono a portare i loro cari in un'istituzione. Finché possiamo teniamoli quindi a casa. Ma questo”finché possiamo” va tradotto in realtà.

Per Bottura di Sad nelle Rsa c'è un invecchiamento precoce: le persone tendono a lasciarsi andare. Che ne pensa?

Nella mia struttura ho visto persone risorgere, che hanno intrapreso relazioni. Dipende da qual è la presa in carico, dai rapporti con la famiglia, dall'organizzazione interna... Ognuno ha il suo piano personalizzato che definisce obiettivi di mantenimento ma anche di recupero di situazioni di benessere relazionale ed emotivo. Inoltre, non ci sono solo gli anziani: da noi arrivano anche adulti abbastanza giovani e sto pensando di creare dei contesti dove si trovino meglio loro e i familiari. Abbiamo aperto in novembre un reparto per ospiti disorientati, con il ricorso a colori e stanze multisensoriali e assistenti formati per gestire queste situazioni.













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