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Tirocini, stage, scuola-lavoro. Grosselli: «Basta sfruttare i giovani»

Troppo spesso manodopera gratis per le imprese. Il segretario appena confermato alla guida della Cgil trentina: «Un sistema da rifondare, è l’apprendistato lo strumento per inserire in azienda»


Astrid Panizza Bertolini


TRENTO. Una volta finite le scuole superiori, o dopo la laurea, è facile che i giovani scelgano di intraprendere un percorso di inserimento sul lavoro in maniera “soft”, accedendo al servizio civile oppure a tirocini extracurriculari. Questi percorsi rappresentano una risorsa per i giovani, che possono così capire il funzionamento del mondo del lavoro, ma sono anche, purtroppo, una velata forma di “sfruttamento” della forza lavoro giovanile.

“Perché?” vi starete chiedendo. Presto detto, le paghe sono minime, se ci sono. I tirocini, infatti, nella maggior parte dei casi non contemplano il pagamento, e nei casi in cui è presente, rappresenta un rimborso spese che spesso non copre nemmeno il costo della benzina. Il servizio civile generalmente paga un po’ di più, ma nemmeno il minimo sindacale. Si arriva, in questo caso, a superare i 400 euro che, se per un ragazzo di 19 anni che ha appena finito le superiori possono bastare, per uno di 30 (sopra questa età non è più possibile fare domanda) che ha alle spalle due lauree, diciamocelo, è poco. Per non parlare poi del fatto che la certezza di continuare il proprio percorso lavorativo lì è pari a zero.

Infatti, queste forme di lavoro gratuito sono descritte come “ponte” fra lo studio e il lavoro vero e proprio. E finiamo poi per ritrovare giovani di 30 e 35 anni che, nella maggior parte dei casi, stanno lavorando a tempo determinato e non hanno la possibilità di fare progetti importanti, come comprarsi una casa o farsi una famiglia.

Durante il Congresso della Cgil del Trentino, che si è tenuto lunedì e ieri e lo ha confermato segretario provinciale, Andrea Grosselli ha toccato anche questi temi.

Quali sono i problemi delle varie forme di inserimento sul lavoro, come il servizio civile, i tirocini, o le alternanze scuola-lavoro?

Si tratta di percorsi diversi che vanno distinti. Per quanto riguarda il servizio civile, sicuramente il corrispettivo andrebbe aumentato, però è un percorso che il giovane sceglie volontariamente conoscendo i termini. Il tirocinio, invece, viene offerto da soggetti, anche pubblici, come un inserimento lavorativo, soprattutto nei casi di lavoratori diplomati e laureati che quindi già hanno maturato competenze e non avrebbero bisogno di un tirocinio, ma di un lavoro vero e proprio. Potrebbe quindi essere applicato direttamente l’apprendistato, da sfruttare anche nei percorsi di alternanza scuola-lavoro, dove il periodo potrebbe essere anche solo di qualche mese. Lo stage, invece, dovrebbe essere salvaguardato per i lavoratori deboli, senza competenze, che si affacciano al lavoro senza sapere da che parte cominciare.

Perché preferisce l’applicazione di un apprendistato piuttosto che di un tirocinio?

Il sistema di apprendistato ha sia limiti che garanzie, ma è più difficile che dopo una volta portato a termine il contratto il lavoratore venga lasciato a casa, perché in questo caso, dopo anni di formazione si andrebbe a perdere una risorsa utile e pratica. Nel caso dell’apprendistato al posto dell’alternanza scuola lavoro, invece, anche se solo nel periodo estivo o di breve durata durante l’anno scolastico, questa formula favorirebbe la sicurezza sul lavoro, perché un conto è che il datore di lavoro abbia manodopera gratis, diverso è quando il lavoro è vero, a quel punto il legame diventa forte e il datore sente la responsabilità su di sé.

Quali sono invece le soluzioni a lungo termine per permettere ai giovani di poter creare progettualità importanti come comprare casa o crearsi una famiglia?

Sicuramente è necessario in questo caso puntare sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato, creando incentivi che possano vincolare l’azienda a stabilizzare il lavoratore. L’unica maniera per permettere ai ragazzi di crearsi una vita è la stabilità di un rapporto lavorativo. Il sistema in primis dovrebbe agire con impegno in questa direzione. Ma non lo fa. Come sindacati abbiamo fatto richiesta per creare un tavolo di lavoro in questo ambito, ma il dialogo è spesso difficile. Però non demordiamo, le istituzioni devono sentire la pressione. Invertire la tendenza demografica non sarà facile, bisogna chiudere i rubinetti della precarietà in tutte le sue forme, anche perché altrimenti molti giovani colgono opportunità lavorative all’estero invece che rimanere qui. È arrivato il momento che il sistema cambi radicalmente, lo richiede la società.













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