La tempesta Vaia in scena tra arte e parole

Pergine. Promossa dalla Fondazione Castel Pergine e partecipata da un’ottantina di persone, serata nella “Ca’ Stalla” del castello di Pergine su “E-Vento” la mostra con le grandi opere che Giuliano...



Pergine. Promossa dalla Fondazione Castel Pergine e partecipata da un’ottantina di persone, serata nella “Ca’ Stalla” del castello di Pergine su “E-Vento” la mostra con le grandi opere che Giuliano Orsingher espone arredando lo stesso castello dentro e fuori. Parlando anche di alberi, di storie di alberi e del nubifragio Vaia naturalmente. Con Matteo Melchiorre e Andrea Nicolussi Goio a parlare insieme all’artista Orsingher. Breve presentazione e altrettanto breve saluto da parte dei vertici della Fondazione e poi l’inizio con Orsingher. Semplice, lineare e pratico il suo intervento.

«La mostra? Un obiettivo non facile da realizzare, ha detto, anche se il tema era stato dettato dagli eventi. La mia è arte ambientale in senso lato e il nubifragio Vaia è stata l’occasione. Ha suscitato il mio interesse, la mia creatività alla quale ho aggiunto il mio vissuto». E ancora: «Sfrutto l’ambiente e cerco di dare un senso a quello che faccio attraverso la cultura, colgo quello che l’ambiente offre nel bene e nel male, prendo le cose, le evidenzio e le contestualizzo». Concetti appunto chiari che determinano il successo della mostra.

Più complessi e articolati i concetti espressi da Matteo Melchiorre (bellunese, storico e scrittore di alberi) e di Andrea Nicolussi Goio (cimbro, scrittore, commentatore), anche perché, se il primo ha espresso con un vocabolario ricercatissimo (forse anche troppo) il suo animo poetico applicato alle “storie” scritte interrogando gli alberi, il secondo ha rivelato una visione dell’ambiente che lo circonda particolarmente pessimista.

Melchiorre e il suo “Alberon di Tomo” attorno al quale ruotano storie di uomini dai “rural – chic” che si accaparrano una porzione di bosco (luogo raggiunto con il Suv per scaricare le tensioni della grande città) i saggi montanari che svendono il territorio per attirare clienti al bar. Anche lo “sradicamento” ha trovato posto nel suo dire insieme al concetto che «l’uomo è sempre al centro, gli alberi sullo sfondo, ma la loro presenza è costante, determinante, e occorre rivalutarlo».

Visione ed espressioni differenti con il cimbro Andrea Nicolussi Goio, e soprattutto pessimiste con qualche scivolone nella retorica – poetica: gli uomini fanno soprattutto sbagli, non è foresta né bosco, ma allevamento di alberi e industria, torneranno a piantare alberi che torneranno a cadere, manca la sacralità scacciata dall’uomo che l’ha soppiantata con la religione. Ma il tema in cui il cimbro si dilungato ha avuto come centralità lo spopolamento della montagna (ed ha citato Luserna) senza più servizi senza più anima.

Entrambi hanno parlato di “montagna che ha bisogno di cura, non di amore” attraverso le mani dell’uomo.

Chi ha riportato l’argomento sul concreto è stato Mario Cerato ex dirigente provinciale ed esperto forestale (sta scrivendo un libro “storico – tecnico” sul bosco in Tirolo). Ha replicato a gran parte delle affermazioni (“anche se interessanti”) dei due relatori. Ha parlato anche dei lati positivi di Vaia (ha colpito il 3% del patrimonio boschivo trentino), del corso della natura, dell’esperienza nel grande cantiere aperto tra Grigno e Marcesina.













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