«Da Riva a Los Angeles per fare musica» 

La band rivana “The Bankrobber” è pronta a spiccare il volo. Ma niente talent: «Preferiamo la strada più tradizionale»


di Katia Dell’Eva


RIVA. Giacomo Oberti, Maddalena Oberti, Andrea Villani e Stefano Beretta. Quattro giovani rivani (il più grande appartiene alla classe ’89), meglio noti al mondo musicale come “The Bankrobber”. Una band che ha nel cuore – e nelle orecchie – Londra e tutte le sue influenze, che sogna un successo internazionale senza scorciatoie, e che ha presentato sabato pomeriggio, con un concerto in acustica a Omnia Shop & Cafè di Riva, il suo terzo album (secondo LP) in dieci anni di carriera: “Missing”, scritto interamente in inglese, prodotto da Vrec e Alka Record Label e distribuito da Audioglobe. In occasione del loro live, li abbiamo incontrati in sala prove, impegnati a preparare la loro esibizione.

Il vostro nome fa riferimento ad un brano di una delle band punk per eccellenza, i Clash, ma ora fate un genere piuttosto differente, perché?

«Il punk ci accomunava agli inizi, quando eravamo adolescenti e venivamo da prime fallimentari esperienze con la musica, dall’abbandono dello studio del violino, a strani tentativi di approccio agli strumenti come autodidatta. È un genere che ha permesso ad ognuno di noi di crescere, anche se ora abbiamo intrapreso una strada diversa e più matura, dal punto di vista artistico. Però, ehi, di sicuro ci è rimasta la stessa grinta di allora! Soprattutto quando suoniamo dal vivo».

Si sente chiara, invece, la vicinanza alle sonorità di gruppi britannici come Arctic Monkeys, Editors e Biffy Clyro, è per questo che avete iniziato a scrivere in inglese? Avete mai pensato di trasferirvi a Londra?

«No, lo facciamo perché ci sembra la lingua migliore dal punto di vista della resa musicale. Ascoltiamo tanta musica anglosassone e quindi ci viene più spontaneo. Se questo poi facilita il successo all’estero, ben venga. Anche se, più che Londra, al momento abbiamo nel cassetto il progetto di partire per Los Angeles per alcuni mesi, in autunno (dopo il diploma in Conservatorio di Maddalena n.d.r.). Non dobbiamo necessariamente andare nel posto in cui si fa quello che facciamo anche noi, no? Ci piace l’idea di avere tante influenze diverse, e anche “Missing”, con dieci tracce così varie, lo dimostra».

A proposito di “Missing”, da dove viene il titolo?

«È una cosa strana, ma il titolo è nato dopo la copertina. Daniele Magoni aveva questa fotografia di un cane, su cui poi Laurina Paperina ha creato il disegno nella cover. Il risultato ci ha fatto immediatamente pensare ai volantini per i cani dispersi, da qui “missing”, che poi in fondo rendeva molto bene nell’evocare la malinconia dell’album stesso».

Come lo avete scritto e in quanto tempo?

«In genere Giacomo scrive i testi, poi lavoriamo tutti insieme alla musica. È stato un processo molto rapido: abbiamo iniziato a gennaio 2017 e in sei/sette mesi avevamo già finito di registrarlo (nel Freedom Recording Studio di Ferrara). Già nelle nostre ultime quattro date degli scorsi mesi, tra Spagna e Portogallo, avevamo presentato i pezzi al pubblico».

E dopo oggi, cosa accadrà adesso nel vostro immediato futuro?

«Guardando da vicino, il 24 marzo abbiamo un altro live a Rovereto, al Diapason Music Point. Poi ci saranno alcune date tra Sicilia ed Emilia-Romagna. La svolta sarà ad aprile, quando uscirà il terzo singolo estratto – dopo “Closer” e “Afraid”, toccherà a “A Good Guy with a Gun” -, uscirà il vinile di “Missing” contenente una bonus track, e andremo anche a Los Angeles a ritirare l’Akademia Music Award per la miglior canzone alternativa del 2017. In linea generale, continueremo a spingere sulla promozione, sperando nel successo all’estero o in Italia. Ma niente talent. Siamo andati vicini a parteciparvi anni fa, ma ora siamo certi di non voler fare quel tipo di scelta, preferiamo una strada più “tradizionale».

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