Tra Eros, tempeste e naufragi 

Mito e letteratura. Domani a Rovereto la presentazione del nuovo libro di Giorgio Ieranò, docente di Letteratura greca all’Università di Trento «Fin dall’antichità il mare viene paragonato all’amore: in entrambi i casi sono dimensioni in cui c’è il rischio di perdersi, di andare alla deriva»


Maria Viveros


Rovereto. Ci ha introdotto nei misteri del mondo religioso e magico dell’antica Grecia con “Olympos” e “Demoni, mostri e prodigi”, ci ha narrato saghe di eroi, primi fra tutti quelli della guerra di Troia, e ci ha accompagnato, con “Arcipelago”, lungo le rotte del mar Egeo per incontrare divinità in luoghi dove riecheggia ancora la voce del mito. Adesso Giorgio Ieranò, docente di Letteratura greca all’Università di Trento, ci racconta “Il mare d’amore. Eros, tempeste e naufragi nella Grecia antica” (Editori Laterza, pp. 280, € 18), conducendoci nel regno di Afrodite, dea dell’amore, ma “anche protettrice dei naviganti e signora del mare”. Attraverso ricchi e piacevolissimi riferimenti letterari, riscopriamo così le nostre radici culturali in “un viaggio ai confini dell’umano che sfiora le regioni della morte” e ci parla di noi.

Abbiamo posto alcune domande all’autore prima della presentazione di questo suo ultimo lavoro a Rovereto, domani mercoledì 13 novembre alle ore 19, presso la Libreria Arcadia in via Fratelli Fontana.

Il mare è uno spazio misterioso, pieno di insidie. Con quale atteggiamento gli si avvicinava l’uomo greco?

I greci erano grandi navigatori. Ma, proprio perché conoscevano bene il mare, lo temevano. Lo consideravano uno spazio terribile e misterioso, il luogo dei pericoli e al tempo stesso dei prodigi, un territorio abitato da Sirene e da mostri. Anche se avevano percorso tutto il Mediterraneo e costruito città da Gibilterra al Mar Nero, per i greci la dimensione naturale dell’uomo era legata alla terra. La terra era la stabilità, la sicurezza; il mare l’incertezza, lo sgomento di uno spazio senza confini. Per questo, fin dall’antichità più remota, il mare viene paragonato all’amore: in entrambi i casi sono dimensioni in cui c’è il rischio di perdersi, di andare alla deriva, di naufragare.

L’uomo viene colpito inaspettatamente da Eros e, invece, affronta il mare solo se decide di farlo o deve. Come si conciliano ineluttabilità e volontà nelle metafore marittime riferite all’amore?

In effetti, per i greci, nessuno sceglieva di innamorarsi. Era un destino che Eros, il dio dell’amore, stabiliva per noi. È difficile peraltro contestare quest’idea: c’è qualcuno di noi che può dire di avere deciso di sua volontà quando e di chi innamorarsi? Se poi la dea Afrodite, la Venere dei romani, decideva di aiutarti, allora il tuo amore poteva essere felice. Sennò, si era condannati a essere travolti dalla forza del desiderio. Lo stesso valeva per il mare: non a caso Afrodite, per i greci, era anche signora del mare e patrona dei naviganti. Ogni marinaio si raccomandava a lei: solo lei poteva placare le onde. È vero che, in teoria, uno poteva decidere di starsene a casa e non imbarcarsi. Ma, di fatto, spesso il tuo podere non bastava a nutrirti e dovevi emigrare o darti al commercio. Oppure c’era qualche nemico che ti cacciava dalla tua città e ti costringeva all’esilio. Allora bisognava per forza affidarsi al mare e, come in amore, si poteva solo sperare nell’aiuto di Afrodite.

Ne “Il mare d’amore”, fra i quattro elementi costitutivi l’universo (terra, acqua, aria e fuoco), i riferimenti a mari, tempeste e bonacce, isole e spiagge, escludono soltanto il fuoco, comunemente associato alla forza prorompente della passione. Come mai?

In realtà, stranamente, l’immagine dell’amore come mare conviveva con quella dell’amore come fuoco. Venere, come ci insegna anche il celebre dipinto di Botticelli, era nata dalle onde marine. Ma, al tempo stesso, la passione era rappresentata come una fiamma divorante (“L’amore ond’ardo”, come si canta nel Trovatore di Verdi). Non a caso un poeta greco domandava alla dea dell’amore: com’è possibile che tu, Afrodite, nata dall’acqua, abbia creato un fuoco?

La passione coinvolge l’essere umano in tutta la sua complessità psico-fisica. Come si spiegano le metafore legate al mare, ma riferite alle prostitute (“barca in disarmo” se vecchia o “scafo corsaro” se “giovane e attraente”)? Il loro mestiere implicava anche un coinvolgimento passionale?

Il mondo della prostituzione antica era molto vario. Di solito si distingueva tra le “pornai” (da cui deriva la parola “pornografia”), le prostitute da strada, e le “etere”, le “compagne” (potremmo dire “accompagnatrici”) che invece erano prostitute raffinate e colte. Tutte loro, senza alcun dubbio, suscitavano l’eros, cioè il desiderio sessuale (è questo che la parola “eros” significa esattamente in greco). Poi con alcune di loro si poteva anche instaurare un rapporto di affetto. Gli storici greci ci narrano di etere che sono rimaste fino all’ultimo accanto al loro uomo, sfidando anche la morte: è il caso di Timandra, l’amante di Alcibiade, uno dei più grandi personaggi della Grecia antica. Poi paragonare una donna di facili costumi a una imbarcazione è cosa che facciamo anche noi, pur senza sapere di averlo imparato dai greci, quando parliamo, per esempio, di una donna che fa da “nave scuola”. Tra parentesi, una recente sentenza della Cassazione ha condannato un marito siciliano che si era rivolto alla moglie chiamandola appunto “nave scuola”.

Se il “mare d’amore” non offre scampo, al contrario di chi si trova coinvolto in una tempesta marina poiché può sperare nella salvezza grazie all’aiuto divino, in che misura l’amore è strumento del destino, dal momento che sembra sostituirlo?

Sì, l’amore è paragonato al mare ma è considerato ancora più terribile del mare. Perché ti entra dentro e, come diceva già Omero, “rapisce la mente anche agli uomini più saggi”. Anche Platone diceva che l’amore è follia, “mania”, è possessione divina. La mitologia greca di Eros, in realtà, sembra insegnarci soprattutto una cosa: che non siamo padroni del nostro destino e non sappiamo nemmeno bene da dove e come nascano i nostri desideri e le nostre pulsioni. In amore c’è appunto Eros, un demone che si impadronisce di noi. Ma il discorso può valere per ogni aspetto della nostra vita. C’è spesso qualcosa di altro, forse di sovrumano, che ci condiziona, che ci sovrasta e ci supera.













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