Cent’anni di imprese in cima all’Everest sul “tetto del mondo” 

Il libro. Dalla prima spedizione britannica, risalente al 1921, per arrivare alla caotica attualità Stefano Ardito ha raccolto un secolo di avventure e anche di tragedie avvenute al “terzo polo” Ci sono Norgay e Hillary, i primi ad arrivare in vetta, e l’impresa senza ossigeno di Messner


Marco Benedetti


Trento. Nella primavera del 1921, una spedizione di alpinisti britannici lasciava Darieeling diretta ai piedi della montagna più alta del mondo, l’Everest. Da quel momento la montagna che dal 1865 porta il nome del primo direttore del Survay of India, Sir George Everest, sarà il teatro di una lunga serie di imprese, che inizialmente avevano come principale scopo l’esplorazione geografica della cima, lasciando col tempo lo spazio all’irrinunciabile ambizione di riuscire in quella incredibile ascesa. La storia di un secolo di imprese sul “tetto del mondo” viene ripercorsa dal libro di Stefano Ardito, «Everest. Una storia lunga 100 anni».

L’esplorazione del 1921

Tra i protagonisti di quella prima grande spedizione alpinisti più anziani che avevano partecipato alle prime esplorazioni himalayane tra l’Ottocento e il Novecento, militari che alcuni anni prima avevano conosciuto gli orrori della Grande Guerra, sui campi delle Fiandre e delle Somme, da Ypres a Verdun, i gas asfissianti, gli assalti verso muri di reticolati e mitragliatrici nemiche, e alcuni giovani, già affermate promesse dell’Alpin Club, come George Leigh Mallory. Fino al 1938 e in virtù del loro protettorato sul Tibet i britannici ebbero campo libero nei tentativi di salire la montagna dal versante Nord tibetano. Sette spedizioni segnate da speranze, e fallimenti a causa di copiose nevicate, sforzi eroici e tragedie.

La scomparsa di Mallory

Quella di Mallory e Irvine, nella spedizione del 1924, è rimasta la più enigmatica. Anche dopo il ritrovamento nel 1999, in una stagione particolarmente scarsa di precipitazioni, del corpo mummificato di Mallory, non si è potuto ancora stabilire se i due alpinisti, avvistati dai compagni oltre quota 8.600 metri prima di essere avvolti dalla bufera, riuscirono a raggiungere la vetta già allora. L’Everest era diventato quasi un’ossessione per Mallory, che durante un tour di conferenze in America, al giornalista del New York Times che gli chiedeva perché desiderasse tanto quella cima, rispose con la famosa frase «Because it's there! (Perché è là!)».

Il secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra, con l’occupazione cinese del Tibet e l’apertura della frontiera Nepalese, le spedizioni iniziarono ad operare sul versante meridionale della grande montagna. La spedizione svizzera del 1952, che nella cordata di punta aveva un certo Tenzig Norgay, si arrese a poche centinaia di metri. Il 29 maggio del 1953, la foto di Tenzing che alza al cielo la piccozza con le bandierine di Inghilterra e Nepal sulla sommità del “terzo polo”", scattata da Edmund Hillary, fece il giro del mondo in poche ore. Non vi è invece alcuna foto di Hillary sulla vetta, perché Tenzing non aveva una macchina fotografica.

Dopo la prima salita, la storia di questa montagna, come evidenzia il libro di Ardito, si dipana tra nuove eccezionali imprese su tutte le creste e le pareti: i cinesi nel 1960 lungo la via di salita seguita da Mallory nel 1924, gli americani nel 1963 lungo la rocciosa Cresta Ovest, gli inglesi di Bonington sulla Parete Sud Ovest.

Il turno di Reinhold Messner

Un’altra data che segna la separazione tra un prima e un dopo sull'Everest è l’8 maggio 1978. Quel giorno Reinhold Messner e Peter Habeler giungono in vetta all’Everest senza utilizzare le bombole di ossigeno. Due anni più tardi sempre Messner sarà il primo alpinista a raggiungere il “tetto del mondo” in solitaria salendo dal versante Nord cinese. Ma qualche mese prima questa storia segna un altro exploit, è la prima salita invernale di un team di alpinisti polacchi guidati da Andrzej Zawada e di cui fa parte Krzysztof Wielicki.

Non mancano le tragedie

Gli anni ’80 e ’90 sono ricchi imprese, nuovi protagonisti, ma anche tragedie. Il 10 maggio 1996 una lunga fila di alpinisti e sherpa si allunga tra il Colle sud e la vetta. Incroci tra chi sale e chi scende, scarso acclimatamento allungano i tempi della salita; poi il maltempo arriva improvviso e per otto alpinisti non c’è scampo. Grazie al libro «Aria sottile» di Jon Krakauer, testimone diretto della vicenda, il mondo scopre la realtà delle spedizioni commerciali, che finiscono sul banco degli imputati, ma la realtà è che sempre meno alpinisti qualificati all'interno di spedizioni tradizionali si presentano al campo base dell’Everest.

Il progetto italiano

E gli italiani? Dopo la criticatissima, benché vittoriosa spedizione Monzino del 1973, il riscatto viene dalle scienze applicate con il progetto Ec-K2 del Cnr, nato inizialmente per una nuova misurazione dell’Everest, ma dove si effettuano ricerche avanzate sulle scienze terrestri, la fauna, la flora locale, fisiologia dell'alta quota, studi sull'atmosfera e l'inquinamento.

L’attualità

Le ultime pagine ci immergono nell’attualità, con il Nepal in lockdown, l’economia legata ai trekking e alle spedizioni totalmente azzerata, in un paese che si stava a fatica riprendendo dalle conseguenze del sisma del 2015.















Scuola & Ricerca

In primo piano