L'INTERVISTA STEFANO GROSS FIAMME GIALLE 

«Allenamenti, o tutti o nessuno Lo decida la Fis» 

Sci alpino. «Pedalo in balcone sui rulli, da un mese e mezzo non  salgo al piano di sopra per salutare i miei genitori e mio nonno 91enne In Val di Fassa brutto focolaio, del resto questa valle vive di turismo»


LUCA FRANCHINI


Ai tempi dell’emergenza Covid-19, Stefano Gross pedala sui rulli sul balcone di casa, per tenersi in forma. Al piano superiore, nello stesso edificio, ci sono i suoi genitori e suo nonno, 91enne, che lo slalomista non vede da quando è tornato dalla trasferta in Giappone, dove il 23 febbraio scorso era in programma una gara di Coppa del Mondo, poi annullata per maltempo. «È da un mese e mezzo che non salgo dai miei genitori e da mio nonno, nemmeno per salutarli – spiega lo slalomista azzurro – Una volta tornato dal Giappone, ho preferito non avere alcun contatto con loro, per evitare qualsiasi rischio».

Non è facile stare chiusi in casa, in primis per uno sportivo abituato a girare il mondo e a vivere all’aria aperta.

«La prima settimana di lockdown me la sono goduta. Mi sono rilassato dopo una stagione complicata, ho scaricato il nervoso accumulato. Con la seconda settimana ho iniziato a fare un po’ di fatica. Dopo la quarta ho cominciato a impazzire, ma è un sacrificio relativo a fronte di quello che stanno facendo molti altri».

Come si sta allenando?

«Vado in bici sui rulli, due o tre volte a settimana faccio sessioni d’allenamento per la parte alta, qualche esercizio specifico per le gambe, per rinforzare il ginocchio operato nella scorsa primavera. La bici va per la maggiore in questo periodo: mi ha sempre appassionato. Approfittando del meteo, mi metto sul poggiolo con i pantaloni corti. Una rarità a Pozza di Fassa nel mese di aprile».

La sua valle è stata duramente colpita dal Covid-19.

«C’è stato un focolaio grosso tra Canazei e Campitello. A Pozza ci siamo salvati abbastanza. Prima di carnevale c’era una marea di gente in valle. Sicuramente ha contribuito, ma d’altronde qui si vive di turismo».

Come ha reagito la comunità all’emergenza?

«Ho visto un grande senso di responsabilità. Per le prime 3-4 settimane non si vedeva anima viva in strada. Ora, complice la riapertura di qualche azienda e impresa, mi pare che ci sia un po’ troppa gente in giro. I controlli ci sono, ma è la responsabilità che deve esserci. In paese si sa di persone di Milano che sono arrivate qui in valle per raggiungere la loro seconda casa».

Come sarà l’estate degli azzurri dello sci alpino?

«Ho parlato al telefono con il nostro allenatore Jaques Theolier. Ha studiato due-tre soluzioni, anche perché non si sa se ad agosto potremo andare in Argentina, né se ci potremo spostare all’estero. Prima della fine di luglio sicuramente non scieremo».

Lo sci alpino potrebbe essere agevolato nella ripresa, essendo sport outdoor e individuale.

«Sì e no. Viaggiamo comunque tanto, frequentiamo alberghi, siamo spesso a contatto con atleti e persone di altre nazioni. Bisognerà capire come si muoverà la Fis, se spingerà per la ripresa dell’attività, quali misure di sicurezza verranno prese. Mi pare ci sia molta confusione: si parla di ripresa dei campionati di calcio e, nel nostro settore, c’è chi dice che le gare di Sölden di ottobre sono in dubbio. Sicuramente dovremo cambiare il modo di viaggiare, di stare negli hotel».

In Europa c’è chi è riuscito a sciare anche dopo lo stop anticipato della stagione agonistica.

«Noi siamo tutti a casa dall’8 marzo e mi sta bene. Ho sentito per telefono Simone De Dio, allenatore dei francesi, e anche loro sono fermi. In Austria, però, sembra che da qualche parte si scii ancora: dei tecnici di Volkl mi hanno detto di avere in programma dei test in questo periodo. Pure in Norvegia e Svezia c’è qualcosa di aperto, ma non so se le squadre vadano ad allenarsi».

L’Italia è stata la prima a fermarsi.

«La Fisi è stata la prima a decidere di non prendere parte alle ultime gare di Coppa del Mondo, mentre le altre nazioni erano convinte di terminare la stagione, come se il problema fosse nostro. Ora la Fis deve intervenire, dare una linea guida, onde evitare che alcuni possano allenarsi e altri no».

Cosa chiede Gross?

«Che non ci sia chi può riprendere in luglio e chi in settembre, anche se per noi slalomisti il problema sarebbe di portata minore. Eccezion fatta per la gara di Levi, a novembre, gli slalom sono concentrati principalmente in gennaio. Ci sarebbe tempo per recuperare. All’inizio della stagione, però, se parti con due mesi di ritardo paghi dazio».

Pensa che si sarebbe potuto agire meglio in quanto a prevenzione?

«A mio modo di vedere ci siamo svegliati tardi. Quando siamo andati in trasferta in Giappone, dove poi non abbiamo gareggiato, già si era conoscenza del problema e dei rischi. Forse non eravamo così preparati come qualcuno ha detto».

Quali risvolti negativi potrebbe avere la crisi sullo sci?

«Il nostro sport è molto legato alle sponsorizzazioni e al turismo, un settore che più di altri ha accusato e accuserà la crisi. Non voglio pensare a gare a porte chiuse, perché sarebbe triste gareggiare senza pubblico. Sarebbe l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, visto lo sforzo che si sta facendo per avvicinare la gente allo sci».

Lo stop le ha permesso di recuperare appieno con il ginocchio operato la scorsa primavera?

«Sicuramente, anche se nel finale di stagione stavo molto meglio. Riuscivo ad allenarmi bene. Ero partito forte, con il podio a Val’Isere in dicembre. Nel mese clou, in gennaio, ho sofferto, tra problemi fisici e di materiali. Quando è stato fermato tutto andavo forte e nelle ultime 3-4 gare avrei potuto risollevarmi un po’. Peccato, ma l’importante ora è poter ripartire».

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