scuola

Studenti trentini fra ansia, post pandemia e maturità

Lo psicologo Raffaele Ettrapini: “L’ansia non è buona o cattiva. L’ansia è legata al non sapere cosa può avvenire in futuro. Il termine "pre-occupazione" ci può aiutare a comprendere come agisce l’ansia, siamo portati ad "occuparci prima" che un determinato evento”


Fabio Peterlongo


TRENTO. Ansia, preoccupazione, insicurezza verso il futuro. Sono queste le parole chiave che gli studenti trentini “reduci” dalla pandemia usano più frequentemente per descrivere il loro stato d’animo.

La “bolla” costituita dalla didattica a distanza e dalle relazioni sociali rarefatte degli ultimi due anni ha avuto l’effetto di sollevare nei ragazzi un’ansia profonda che li porta ad evitare gli ostacoli che la vita torna ad offrire. Potrebbe essere questa una delle ragioni che induce gli studenti a protestare contro il ripristino degli esami di maturità in presenza.

Ma l’ansia non è una “nemica”: come la temperatura corporea, anche l’ansia diventa problematica solo quando supera un certo livello, “paralizzante”. Ne abbiamo parlato con lo psicologo Raffaele Ettrapini, psicoterapeuta specializzato nel trattamento dei disagi emozionali tipici dell’età dello sviluppo: «Nell’evitamento si cela un grosso pericolo, il pericolo di impedirsi di esplorare il mondo che ci circonda. Molti ragazzi hanno sperimentato un senso di sollievo, di star bene nella “bolla” della Dad. Tuttavia, quella bolla non è destinata a durare per sempre».

Dottor Ettrapini, la scuola è luogo di emozioni e relazioni, che poi si esercitano nella vita adulta: l’effetto “bolla” di questi due anni che effetti ha?

La scuola è un contesto nel quale i bambini e i ragazzi possono sperimentare le proprie capacità e agire verso quel riconoscimento sociale tanto desiderato. Noi umani siamo biologicamente predisposti a costruire relazioni sociali supportive, tuttavia la nostra biologia non garantisce da sola il pieno sviluppo di tali abilità, serve anche un contesto per ricevere e apprendere modelli di affetto. Dato che la connessione sociale è una necessità biologica, se le persone smettono di essere in relazione con il proprio gruppo, la loro salute peggiora.

La solitudine è un segnale che ci dice che non siamo al sicuro e che abbiamo bisogno di riavvicinarci alla nostra famiglia o al gruppo sociale.

Come riconoscere l’ansia “buona” da una "cattiva" che deve far scattare un campanello d’allarme?

Fin da piccoli veniamo spesso invitati ad essere positivi, ad avere un pensiero positivo. Questa è una delle più grandi trappole nelle quali cadiamo. L’ansia non è buona o cattiva. Milioni di anni di evoluzione ci hanno consentito di scendere dagli alberi e di non aver più la coda, ma ci ha lasciato queste cose chiamate emozioni.

Proviamo ad immaginare l’ansia come fosse la nostra temperatura corporea, diventa problematica solo quando sale sopra un certo limite. L’ansia è legata al non sapere cosa può avvenire in futuro. Quando il domani ci risulta ignoto, quando le informazioni non sono certe entra in gioco l’ansia, la preoccupazione.

Il termine "pre-occupazione" ci può aiutare a comprendere come agisce l’ansia, siamo portati ad "occuparci prima" che un determinato evento si verifichi in modo tale d’esser pronti a rispondere a tutte le evenienze.

Giovani che si cimentano in bullismo, violenza e "mala-movida". Il malessere in se stessi si manifesta attraverso la violenza sugli altri. Quanto è vero questo assioma?

La rabbia è un’emozione il cui ingrediente fondamentale è il senso di ingiustizia, è una delle emozioni più comuni a livello sociale. Quando ci arrabbiamo, agiamo prima di pensare. E ciò avviene perché la parte del cervello deputata al controllo degli impulsi prende il sopravvento rispetto alla parte responsabile del ragionamento analitico e della capacità di decidere con giudizio. È importante allenare i bambini fin da piccoli ad utilizzare in maniera funzionale la capacità di decidere con giudizio, di riconoscere le proprie emozioni e il proprio corpo, aiutandoli a sviluppare una maggior comprensione di sé.

Studenti protestano contro l’esame di maturità in presenza. Eppure il lockdown non può durare per sempre e bisogna tornare a fare i conti con gli ostacoli della vita. Cosa direbbe a questi ragazzi?

Il periodo trascorso in casa dai ragazzi è stato un periodo nel quale la frenesia delle loro giornate alle quali erano abituati è stata messa in pausa dall’oggi al domani. La possibilità di fermarsi, di avere del tempo a disposizione, di non doversi confrontare con gli altri, per alcuni, è stato senz’ombra di dubbio un sollievo.

Per sollievo si intende quella sensazione che proviamo quando abbiamo una prova o un evento che ci genera timore che viene posticipato o annullato. In quel momento ci sentiamo maggiormente al sicuro. La ricerca del sollievo motiva molte delle nostre scelte, tendiamo evolutivamente ad evitare una situazione percepita come pericolosa.

Nell’evitamento tuttavia si cela un grosso pericolo, il pericolo di impedirsi di esplorare il mondo che ci circonda. Molti ragazzi hanno sperimentato questo senso di sollievo, di star bene in questa “bolla” sicura. Tuttavia, quella bolla non è destinata a durare per sempre. Ciò comporta poi la difficoltà a ri-abituarsi al contesto esterno, al riprendere il volante della propria vita e delle proprie scelte.













Scuola & Ricerca

In primo piano